Cromo a denominazione d’origine incontrollata – parte II
di Andrea Bianconi *
2 5 microgrammi al litro al rubinetto sono la spia di un problema ambientale molto più pesante. Il cromo è presente in praticamente ogni manufatto metallico della nostra civiltà industriale, senza fare male a nessuno.
Cromo puro
Ma nelle fasi di produzione di questo manufatto, e nelle fasi finali della sua vita, quando questo viene gettato via, bruciato, rifuso o riutilizzato, il cromo trova la strada per essere disperso nell’ambiente.
Per scendere dalla superficie alle falde però, il cromo deve attraversare parecchi metri di terreno, e si spera che dalle falde al rubinetto un minimo di filtraggio avvenga, e comunque l’acqua di falda è diluita in acqua di altra origine. Morale: Pochissimo del cromo presente in modo indebito nel nostro territorio arriva al rubinetto.
TORNIAMO AL CASO HINCKLEY-BROCKOVICH. La compagnia incriminata PG&E sversava normalmente acque ad alto contenuto di cromo in bacini non impermeabilizzati. Da questi il cromo filtrava nel terreno, raggiungendo le falde superiori e quindi i rubinetti.
Hinckley (Usa), dintorni della PG&E
I bacini si asciugavano periodicamente, così che il cromo ad alta concentrazione passava nell’aria. Tramite aria ed acqua raggiungeva gli abitanti della cittadina. Questo succedeva 40 anni fa. E adesso?
Adesso un bel pezzetto di territorio è imbevuto di cromo come una spugna, fino a notevole profondità. Dalla spugna, il cromo progressivamente scende al livello più basso, ossia le falde che alimentano il fiume Colorado, che fornisce acqua da bere a gran parte dello stato dell’Arizona.
Il fiume colorado (Usa)
Creando il più grave allarme ambientale della recente storia degli Stati Uniti. Notare che lì la PG&E si sta svenando, in collaborazione con le autorità statali, nel tentativo di impedire un disastro che sarebbe la sua rovina (da quelle parti chi deve pagare paga molto salato). Qui presuumibilmente siamo in una situazione simile, e non pagherà mai niente nessuno.
Perchè non pagherà niente nessuno? L’Unione Europea ha le idee chiare sui principi da adottare per la reprimere e soprattutto scoraggiare i reati ambientali:
(1) Adottare il criterio della responsabilità oggettiva, come nelle partite di calcio.
(2) chi rompe non rimborsa, ma rimette tutto a posto com’era prima.
Sulla NON-adozione di questi due punti nell’ordinamento italiano, va avanti dal 2007 un contenzioso tra l’UE e il nostro paese. Vediamo le implicazioni.
Già in una partita di pallone, se non esistesse la responsabilità oggettiva sarebbe praticamente impossibile arrivare ad una responsabilità di qualcuno in caso di incidenti. E in una partita di pallone lo vedono tutti quello che è successo, ci sono migliaia di testimoni, riprese televisive eccetera.
Nel caso di un danno ambientale inizia il balletto delle perizie, degli articoli e controarticoli scientifici, e dei passaggi di proprietà che dissolvono le responsabilità.
Non se ne esce più, ma supponiamo che per miracolo se ne esca: un conto è pretendere che uno ti restituisca l’automobile intatta e funzionante chiavi in mano, un altro è “quantificare il danno”.
Se già con i danni alle auto si riesce a fregare, figuriamoci con una questione complessa come un danno ambientale: ci sta che una compagnia potente riesca a pagare dieci o cento volte meno di quello che dovrebbe.
Foto storica della Caffaro di Brescia (www.industriaeambiente.it)
Per questa ragione, almeno in due recenti casi i danneggiati hanno preferito scavalcare gli organismi giudiziari italiani e rivolgersi direttamente alle Corti Europee. Uno è quello della bonifica dell’Acna di Cengio, l’altro quello della bonifica della Caffaro qui a Brescia.
Parte II – Fine. LEGGI LA PRIMA
Andrea Bianconi
* docente di Fisica all’Università di Brescia