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Secretary
Titolo: Secretary
Regia: Steven Shainberg
Sceneggiatura: Steven Shainberg
Genere: Commedia sentimentale
Durata: 104 minuti
Interpreti: Maggie Gyllenhall, James Spader, Jeremy Davies, Lesley Ann Warren, Stephen McHattie, Patrick Bauchau, Jessica Tuck, Oz Perkins, Amy Locane
Anno: 2002
Vorrei iniziare a parlare di questo film ponendovi un quesito: dov’è che effettivamente possiamo porre il confine tra quel che è normalità e quel che è patologia?
Il DSM è uno degli strumenti principali della psicodiagnostica che dovrebbe raccogliere al suo interno tutte quelle che sono considerate dal mondo scientifico/psicologico le forme di patologia mentale, e cambia di anno in anno trovando nuove sindromi psicopatologiche ed eliminandone altre. La risposta alla nostra domanda iniziale risulta ancora più difficile da dare visto che più volte la storia ha dimostrato che quello che è considerato psicopatologia oggi può essere libertà di espressione domani. Questo perché la società cambia e così anche i suoi valori e la sua cultura. Soprattutto quando si parla di amore la questione si fa ancora più difficile visto che il caleidoscopio delle sfumature “devianti” a letto si fa molto più ampio. Quella che può essere una semplice tendenza, più facilmente accettabile dalla società odierna, può essere considerata facilmente patologia se viene estesa a tutto il rapporto sessuale di un individuo.
La protagonista di Secretary, Lee Holloway (Maggie Gyllenhall), è una ragazza che è stata appena rilasciata dall’ospedale
Interessante notare come l’opinione comune cambia in seguito alla costanza dei due, soprattutto nella parte finale della pellicola, in cui la sicurezza di Lee verso quello che è il proprio desiderio la porta ad affrontare tutte le sue paure, soprattutto di confronto verso il suo universo familiare. E così la coppia può finalmente liberarsi delle catene che la opprimono, mettendosene volutamente delle altre, più a loro misura. Quello che prima era considerata psicopatologia “da ospedale psichiatrico” diviene piena consapevolezza e accettazione di quello che si è, lo sfogo di Lee (l’autolesionismo) viene convogliato in libertà di espressione, mostrando una faccia dell’amore che tutt’ora, a distanza di più di dieci anni dall’uscita del film, viene considerata come “deviante”. I film sul tema sono aumentati, e il più recente “La Venere in Pelliccia” di Roman Polanski non fa che confermare il bisogno di una relatività sessuale, che se pienamente accettata dalla coppia, può essere, più che una perversione, una forma per districarsi da quell’armatura caratteriale che in alcuni casi può arrivare a paralizzare completamente una persona.
Secretary è perciò un grido silenzioso, racchiuso entro le mura dello studio di un avvocato, e successivamente assordante alla ricerca di una libertà ad ogni costo e che, come l’omosessualità ha fatto e continua a fare, vuole dimostrare che l’amore non può essere riassunto con quattro parole dentro ad un vocabolario.
Per chiunque voglia approfondire il tema del BDSM e della libertà sessuale consiglio il già citato “La Venere in Pelliccia” di Polanski e “La Pianista” di Michael Haneke.
– Grove.