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Dire che stasera c'è stato lo spettacolo di chiusura della stagione teatrale del Frantoio Parlante, racconterei una cosa oggettiva, ma che mi sembrerebbe riduttiva.
E' vero, invece, e comunque, che stasera sono stati messi in scena due spettacoli, ciascuno frutto e conclusione di due laboratori di teatro, frutto del lavoro di ricerca teatrale condotta dagli amici di TerritorioTeatro.
Quello di Andrea Mancini, con gli otto ragazzi che hanno seguito il suo corso di recitazione per bambini, che accompagnando gli spettatori tra le stanze del Palazzo Del campana-Guazzesi, che ospita una Residenza Sanitaria Assistita per anziani, lungo il percorso della performance che li seguirà, hanno raccontato il mondo magico e sognato della Mucca Muta e del Lupo peloso del Peloponneso.
E quello di Lapo Ciari, con la strana comunità di personaggi, messi in scena ed interpretati dai giovani che seguono il suo laboratorio teatrale per adulti, che sembra tirare a campare, ciascuno a suo modo, ciascuno nel proprio rifugio, ciascuno alle prese col proprio passato di cui anche il presente sembra già farne parte.
La narrazione parte da una scena collettiva, di corpi abbandonati, che pian piano si animano.
Chi per propria volontà, per propri motivi, chi aiutato, esortato dalla solidarietà comune.
Per poi disperdersi negli angoli e negli anfratti del Palazzo/occasioni della vita.
Una vecchia macchina da scrivere, diventa lo strumento per una lettera racconto-testimonianza-terapia.
La sedia ed il tavolo di ambulatorio, diventano il rifugio dove visitare se stessi, e diagnosticarsi di essere tali.
Vecchi trucchi, lentamente applicati davanti ad una cornice senza specchio, non hanno bisogno dell'immagine riflessa, perché non serve più conoscere il risultato.
Un orto, un cappello, e una zappa che dopo aver coltivato i carciofi diventa un cavallo, in una fantasiosa cavalcata per difendere e diffondere i carciofi.
Il ballatoio di una scala, un uomo, Omero, che racconta la sua mirabile storia mischiandola all'inquietudine per la consapevolezza di non averla comunque vista.
Un atrio, musiche ritmate, ed un corpo femminile, con un'ampia gonna con pizzi neri, che la fa roteare.
Sul finale la scena torna collettiva, in una festa partecipata, con tanto di fuochi d’artificio.
In quelle fiamme scintillanti, c'è il messaggio dell'opera rappresentata.
Il segno che traccia (...) il confine tra ieri e domani.
“Che cos’è diventato il Mondo?”, sarà la domanda finale.
“Un conto alla rovescia verso il futuro”, la possibile risposta.
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