DALL'IMMAGINE TESA
di Clemente Rebora (Canti anonimi, 1922)
Dall’immagine tesa vigilo l’istante
con imminenza di attesa –
e non aspetto nessuno: nell’ombra accesa spio il campanello
che impercettibile spande un polline di suono – e non aspetto nessuno:
fra quattro mura stupefatte di spazio più che un deserto
non aspetto nessuno:
ma deve venire,
verrà se resisto,
a sbocciare non visto, verrà d’improvviso, quando meno l’avverto: verrà quasi perdono di quanto fa morire, verrà a farmi certo del suo e del mio tesoro,
verrà come ristoro delle mie e sue pene,
verrà, forse già viene il suo bisbiglio.
Poeta del Primo Novecento, Clemente Rebora sembra come descrivere una fenomenologia dell'attesa e lo fa attingendo ad un'immaginario sonoro e all'andamento ritmico scandito dalla forza di un'anafora che sembra testimoniare il senso di un ascolto fiducioso: "verrà". Animata da una forte ansia di rinnovamento interiore, nella sua lirica, considerata altissima espressione di poesia religiosa del '900, narra l'attesa dell'istante, quello in cui la Grazia di Dio si manifesta, in uno spazio interiore celato, "non visto", ma è un'attesa che si fa ascolto segnali sonori che anticipano il manifestarsi della 'presenza' salvifica della Grazia, salvifica perché libera dal giudizio perdonandoci, perché restituisce certezza aprendoci al tesoro della fede in Dio e in se stessi, perché ristora e allevia le sofferenze. E' una salvezza che si avvicina discreta come un polline di suono, come un bisbiglio. Mi piace pensare che per ogni uomo possa esserci uno spazio non visibile ai più, un tempo in cui sbocciare non visto, una presenza che sia ristoro, una sequela di istanti in cui sentire anche i bisbigli più impercettibili grazie alla scelta, apparentemente semplice, di stare in ascolto.