Deve essere che è contento di aver qualcuno che lo ascolta. Altrimenti non si spiegherebbe, perché mai l’Antico dovrebbe impiegare due notti a parlare con me? Capirei fossi una Belladonna, ma sono bassotto, anzianotto e quasi calvo, non certo il suo tipo. Che sia un lemure o un vampiro? Per essere strano è strano. Stanotte si è ripresentato con un copricapo a due corni più uno centrale: certa gente ha un terzo occhio, altri, come lui, un terzo corno. Si è seduto in poltrona e si beve un caffè, che a voler sottilizzare sarebbe quello che mi tengo nel thermos per il mattino. Mi guarda con quel suo sorrisetto ironico e d'un tratto mi fa: ”Ci hai riflettuto sui Šardiš, o rifletti solo davanti allo specchio?”. A dire il vero non ci ho riflettuto, sono stato a New York. Ma simulo: ”Ho capito, ma che successe, dopo la Mesopotamia?”. “Corri troppo, portatore di Luce, ma io corro di più. Leggiti questo scritto”. Si butta sul divano, col piano evidente di osservarmi mentre leggo, ma io non gli bado più. Paolino Mingazzini descrive e mostra nel suo scritto dei cocci trovati tra i resti di un tempio punico di Cagliari. Nel 1939 il soprintendente Mingazzini iniziò, con un fondo straordinario di 5000+5000 lire, gli scavi di un tempio (vd. mappa) definito punico, costruito a secco, già individuato dal suo predecessore Doro Levi. Nel giardino del tempio vi era un pozzo (lettera F della mappa) “in parte coevo ed in parte anteriore” (nel sentire queste parole l'Antico mi guarda con occhi fiammeggianti), che attingeva da una sorgente di acqua viva e ripieno di frammenti fittili votivi. Il tempio, secondo il Mingazzini, appartiene “all'epoca ellenistica ma resta pur sempre fenicio” (vattelappesca che voleva dire).
Deve essere che è contento di aver qualcuno che lo ascolta. Altrimenti non si spiegherebbe, perché mai l’Antico dovrebbe impiegare due notti a parlare con me? Capirei fossi una Belladonna, ma sono bassotto, anzianotto e quasi calvo, non certo il suo tipo. Che sia un lemure o un vampiro? Per essere strano è strano. Stanotte si è ripresentato con un copricapo a due corni più uno centrale: certa gente ha un terzo occhio, altri, come lui, un terzo corno. Si è seduto in poltrona e si beve un caffè, che a voler sottilizzare sarebbe quello che mi tengo nel thermos per il mattino. Mi guarda con quel suo sorrisetto ironico e d'un tratto mi fa: ”Ci hai riflettuto sui Šardiš, o rifletti solo davanti allo specchio?”. A dire il vero non ci ho riflettuto, sono stato a New York. Ma simulo: ”Ho capito, ma che successe, dopo la Mesopotamia?”. “Corri troppo, portatore di Luce, ma io corro di più. Leggiti questo scritto”. Si butta sul divano, col piano evidente di osservarmi mentre leggo, ma io non gli bado più. Paolino Mingazzini descrive e mostra nel suo scritto dei cocci trovati tra i resti di un tempio punico di Cagliari. Nel 1939 il soprintendente Mingazzini iniziò, con un fondo straordinario di 5000+5000 lire, gli scavi di un tempio (vd. mappa) definito punico, costruito a secco, già individuato dal suo predecessore Doro Levi. Nel giardino del tempio vi era un pozzo (lettera F della mappa) “in parte coevo ed in parte anteriore” (nel sentire queste parole l'Antico mi guarda con occhi fiammeggianti), che attingeva da una sorgente di acqua viva e ripieno di frammenti fittili votivi. Il tempio, secondo il Mingazzini, appartiene “all'epoca ellenistica ma resta pur sempre fenicio” (vattelappesca che voleva dire).
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