Lunedì 6 agosto 1945, 8 secondi dopo le 8:16, un secondo sole si accese nel cielo di Hiroshima, in Giappone. Si trattava di «Little Boy», la prima bomba atomica della storia a essere usata in tempo di guerra. Il bombardiere strategico americano B-29 Enola Gay, decollato dalle isole Marianne settentrionali, sganciò l’ordigno da 18 chilotoni – 18mila tonnellate di tritolo – sopra la cittadina portuale.
Tre giorni dopo una sorte analoga toccò a Nagasaki, dove ad esplodere fu «Fat Man», un ordigno più potente: 25 chilotoni. Gli abitanti di Nagasaki furono, in parte, salvati da un errore nel puntamento della bomba, sganciata qualche chilometro lontano da dove previsto, e quindi più lontano dal centro.
Nell’immediatezza dei due attacchi morirono circa 130.000 persone: 70-80.000 a Hiroshima, per tre quarti civili, mentre le stime per Nagasaki variano tra 22 e 75.000 vittime immediate. Alcuni furono vaporizzati all’istante dal calore sviluppato dai due ordigni, il primo all’uranio e il secondo al plutonio. Negli anni che seguirono, comunque, le conseguenze delle due devastanti esplosioni nucleari portarono il bilancio ben oltre quota 200.000.
L’attacco americano è avvenuto nell’ambito della Seconda Guerra Mondiale, tre mesi dopo la fine della guerra sul fronte Europeo. Lo scenario politico predominante fu quello di evitare ulteriori mesi di conflitto e il rischio di un’invasione terrestre del Giappone. Inoltre, alcune città giapponesi, e soprattutto Tokyo, erano già state colpite con bombardamenti convenzionali e incendiari, causando decine di migliaia di morti. Il raid più mortale della storia fu proprio quello che tra il 9 e il 10 marzo 1945 causò in una notte oltre 100.000 morti.
la Casa prefetturale della Promozione industriale di Hiroshima, epicentro dell’esplosione del 6 agosto 1945 (Reuters/Hiroshima Peace Memorial Museum/Kawamoto/Kato)Dal Corriere della Sera, Maria Strada
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