Sei figli, tre gatti e un portafoglio: da oggi partono le cronache da una famiglia numerosa!

Da Piccolocuoco @piccolocuoco
di Laura Pantaleo Lucchetti
Pensando e ripensando a come inaugurare i miei interventi su “Piccolo cuoco” m’è venuto in mente che sul web non ho ancora raccontato in maniera organica di come io, con i tanti figli che mi ritrovo, sia arrivata ad essere una mamma “naturale”: e finalmente ho l’occasione per farlo! Mi ci vorrà però qualche puntata: lo preciso subito, mica che vi aspettiate un condensato in poche righe. No, l’arte della sintesi ancora non ce l’ho. Mi dispiace.
Innanzitutto, chiariamo un concetto: mamma “naturale” difficilmente si nasce, ma si può diventare col tempo e anche dopo aver sparato diverse cartucce; ancora adesso che ho quarantadue anni e sei bambini, ve lo posso assicurare, imparo di giorno in giorno cose nuove ed accumulo esperienze che saranno stimolanti per il futuro. Magari figli piccoli non ne avrò più, però sicuramente è lo stile di vita che ho intrapreso da qualche tempo a questa parte, diciamo non dal primo figlio perché mentirei, a farmi sentire più forte nei confronti del futuro. Un buon “portfolio” personale, lo ammetto, che mi consente di contenere le ansie nei confronti del periodo critico che siamo un po’ tutti costretti ad attraversare.
Forse, però, il concetto di mamma “naturale” su di me suona sin troppo ricercato, aulico direi. Mi imbarazza. Così preferisco definirmi “naive”, che rispetto all’italiano si carica di una dimensione più mitica, come entrando in una tela che parla di fiori, figurine stilizzate, anche di fate; ecco, una fata moderna, questo mi piacerebbe essere, se non fosse che assomiglio di più ad una mamma ruspante di quelle sapete di una volta, che badavano al sodo e non avevano tempo da perdere? Ecco, una mamma un po’ stravagante rispetto a tante altre colleghe perfette che a leggere queste righe si staranno chiedendo… ma chi me lo fa fare!
Chi mi ama, mi segua. Sono una mamma bionica, come mi definiscono alcune amiche per via della mia prole di un certo impatto numerico (mezza dozzina esatta, dai dodici anni ai quindici mesi). Una definizione alla quale sono affezionatissima, non tanto perché mi regala un riscatto alla risposta (!) alle colleghe di cui sopra, ma perché mi piace ormai raccontare che bioniche, ironicamente, siamo un po’ tutte se lo vogliamo veramente essere. E bioniche non significa perfette ma dotate di mille periferiche di soccorso. E visto che “Piccolo cuoco” promuove il concetto di “bio”, non potevo capitare in un posto migliore per raccontare come si svolga la mia organizzazione “naturale” quotidiana: di “bio” in casa mia ce n’è fin che si vuole, partendo da mamma e papà per comprendere figli e gatti (ne abbiamo tre). Una filiera certificata formato famiglia numerosa.
Ma torniamo coi piedi per terra. Riguardo alla mia filosofia, lungi dall’essere una patita del “bio” tout court, sono una donna che sceglie con oculatezza i prodotti migliori che il budget di un determinato periodo mi consente di portare in tavola; evito come la peste gli sprechi; ottimizzo alla fonte con una spesa per quanto possibile programmata. E, soprattutto, so immaginarmi già in partenza quanti e quali saranno gli avanzi da riciclare con fantasia, colore, sapore, allegria, e tanto amore. So ricavare la marmellata anche dai ricci delle castagne e dai sassi, come l’Apollonia della marmellata delle Favole al Telefono, forse perché Gianni Rodari era mio conterraneo, può essere. O forse perché lo era l’Apollonia stessa prima di lui, quella brava ed economa donnina del Varesotto, vai a saperlo tu che mi stai leggendo con curiosità (sì, perché vi parlerò anche di libri per bambini, ma questa è un’altra storia, e ne parliamo un’altra volta).

Sono la mamma delle polpette e dei polpettoni, delle trentasei uova che non mancano mai in frigorifero, del pane del fornaio più antico che rimanga nella mia città e che a volte me lo vende a peso d’oro… ma che pane, ragazzi! A riciclarlo è una poesia unica. La mamma che trita le braciole col tritatutto un po’ per risparmiare, e anche un po’ tanto per sapere bene che carne va dentro le sue polpette. La  mamma delle divertenti insalate di pastina che sono nate per caso, per recuperare un pasto non consumato dal piccolo di casa. Sono la mamma del chilo di riso cucinato in un colpo solo, per farne risotto a pranzo e poi riso al salto la sera, o torta farcita il giorno dopo, per contenere tempo, energie, sprechi al minimo sindacale. La mamma del piatto unico, legge morale di casa mia, diktat imposto dalla capienza ristretta della lavastoviglie ma anche della pazienza dei bambini a tavola. La mamma del pane e salame per merenda, della ciambella cotta nel fornetto delle fate per non accendere il gas. Della crostata fatta in casa perché una crostata a casa mia non dura più di una mattina, e ci mancherebbe pure prenderla confezionata. Delle chiacchiere di Carnevale fritte a quintalate e delle torte portate al lago. Sono la mamma che in vacanza non va, perché vivo già in vacanza, fra boschi, laghi e fiumi, e che la mattina scrive e il pomeriggio porta in spiaggia le tortine sfornate fra un articolo e l’altro.
Una mamma che tutte queste cose ha imparato a farle non dal primo figlio, e che ringrazia il cielo di averle dato tanti gioielli che le potessero finalmente insegnare il senso della responsabilità e del sacro nei confronti delle cose belle e buone che la Vita ci mette quotidianamente a disposizione. Perché, sappiate, quand’ero mamma alle prime armi non ero proprio un ottimo esempio di economia domestica. Anzi, ero proprio un po’ sprecona, un po’ cicala insomma.
Va bene, dalla mia sfera di cristallo personale, ovviamente connessa al notebook, vi vedo interessati al seguito. Allora lascio qualche giorno di suspence e poi vi racconto di come ho svezzato i miei due ultimi figli, in maniera non solo naturale ma oserei dire bionica… perché per i primi quattro sono stata proprio imperdonabile. Ma questo, appunto, lo raccontiamo la prossima volta.

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