Attenzione, spoiler alert:
Questo post è stato scritto appena dopo il fischio finale della partita. Declino ogni responsabilità se esso non rispetta la pubblica decenza.
É il mio primo Sei Nazioni da immigrata in Inghilterra, per me è tutto nuovo: niente stadio, niente Roma, niente amici con cui soffrire per ottanta minuti. Alla meglio mi sarei accontentata di un pub, di un manipolo di inglesi pronti a guardarmi dall’alto in basso e di una BBC dal commento “fazioso”, perché siamo italiani e quindi non capiamo niente di rugby.
E invece.
E invece abbiamo messo il muto durante la Marsigliese, perché se è vero che il rugby è uno sport di valori, e io sono sempre stata un tipo sportivo e dall’esemplare fair play, per una volta il televisore andava messo muto. Scusate, amici francesi.
L’Italia è partita forte, fortissima. E al solito si pensava: «Eh, ora tocca soffrire nel secondo tempo, perché i nostri cedono, come da copione.» e invece no.
Non avevo mai visto un’Italia così. La Francia è rimasta a guardare, ha provato a fare qualcosa, ma Brunel ci aveva avvertito: «Dobbiamo imporre il nostro gioco, non subire quello avversario» aveva detto un po’ di tempo fa. Ed ecco che il pirenaico ha tirato fuori dal basco un’Italia prepotente e determinata, capace di sciogliere ogni nodo psicologico che l’ha sempre fregata, in un modo o nell’altro.
E se il (grande) merito di Jacques Brunel è di aver fatto fare all’Italia quel salto di qualità a cui in molti ormai non credevano più, il merito sul campo va a quei 23 giovanotti con le spalle larghe e i femorali ipertrofici che hanno pestato l’erba dell’Olimpico. Nelle mete di Parisse e Castrogiovanni c’è tutta la squadra, dai placcaggi di Favaro e Minto alla nostra mischia regale, passando per i trequarti che osano e giocano. E sembrano divertirsi, come forse non si era visto mai.
E poi ci sono i 78 kg di Luciano Orquera, il Man of The Match, che con le ultime prestazioni in azzurro ha dato un paio di schiaffoni sonori a tutti i suoi detrattori. Ora, non so se Lucianino ha bevuto una pozione segreta oppure se il coach gli ha lasciato campo libero per fare quello che vuole, e lui ha iniziato davvero a fare quello che voleva, inventando cose e leggendo linee di corsa che manco Conrad Smith, a momenti.
Però l’importante è che giochi sempre così. Se qualcuno in lettura lo incontra, per favore, gli dia un bacetto da parte mia.
I commentatori della BBC hanno mostrato grande rispetto nei confronti dei nostri*. Finalmente, anche gli inglesi ci prendono sul serio, e vi pare poco. Non vedo l’ora di vedere le facce dei miei colleghi francesi, che tanto mi perculavano sabato sera.
Mia sorella ha guardato il secondo tempo con il commento francese, e ha detto che anche loro hanno ammesso la nostra bravura, con grande sportività. E quasi quasi mi pento di aver messo il muto alla tv durante il loro inno.
Anche Sir Wilkinson ci ha detto bravi. Anche lui, il più grande di tutti i numeri 10.
Tutti si sperticano in grandi complimenti per l’Italia del rugby, ora. Che bello.
Sembra uno slogan elettorale, ma è vero: è tempo di dire basta per sempre alle sconfitte onorevoli. Siamo diventati grandi e maggiorenni. É come se ora avessimo preso la patente sapendo che non si deve bere, se si deve guidare.
É arrivato il tempo della consapevolezza, per l’Italia del rugby.
Ed era anche ora. Avanti così, ragazzi.
Photo credit Andrea Masi
*Inutile dire che quelli della BBC erano un gradino sotto Sky Italia, e quindi sentivamo Munari parlare e urlare come una taccola! Vittorio, meno male che esisti.