Sei popolazioni indigene in pericolo: la perdita di una cultura è una perdita per l’umanità

Creato il 06 novembre 2013 da Nonsoloturisti @viaggiatori

La storia umana – e quella occidentale in particolare – è costellata di scoperte, esplorazioni, insediamenti e colonizzazioni di territori che, prima dell’arrivo dell’uomo bianco, venivano considerati disabitati in barba alle popolazioni indigene che vi si erano insediate millenni addietro. Lo sviluppo della cultura imperialista e industriale, e la diffusione del turismo di massa, hanno messo in grave pericolo – per non dire condannato – i popoli che oggi tentano disperatamente di conservare il proprio retaggio culturale, aggrappandosi a leggi riconosciute internazionalmente e osteggiate localmente.

C’è una norma non scritta nell’ambito delle scienze interculturali, la quale afferma che ogni volta che due civiltà vengono a contatto una delle due è destinata a soccombere. Io temo sia vero, ma non posso fare a meno di pensare che adottare sensibilità e consapevolezza nel corso dei nostri viaggi può contribuire a una convivenza meno brutale e devastante.

Questi sono solo alcuni dei gruppi che hanno subito la diffusione della “civiltà occidentale”. L’elenco completo sarebbe molto, molto più lungo. Ma state tranquilli, non è destinato ad allungarsi: le popolazioni indigene sono già tutte in pericolo e alcune stanno già scomparendo.

San

Noti genericamente come San o Bushmen – due termini che non colgono con efficacia la reale composizione di queste tribù – sono una popolazione di circa un migliaio di individui, la cui cultura risale a migliaia di anni fa e si è sviluppata nei territori impervi del deserto del Kalahari. Nel 2002 il governo del Botswana è intervenuto con violenza per cacciare queste persone dalle loro terre. Si parlò di un intervento atto a garantire lo sfruttamento turistico della zona, ma la Riserva del Kalahari giace anche nel mezzo della più ricca regione produttrice di diamanti al mondo. Due condanne del tribunale del Botswana per “trattamento degradante” non ha impedito al governo di insistere con le violazioni dei diritti di questo popolo.

Masai

Tra il Kenya e la Tanzania vivono circa un milione di Masai. Si tratta di uno dei gruppi indigeni africani più conosciuti, grazie alla loro complessa cultura e alla vicinanza a molti siti di interesse turistico. Un tempo guerrieri temuti la cui influenza si estendeva su vasti territori, oggi i Masai sono minacciati dal turismo di massa, che li vede come folkloristiche attrazioni da baraccone o addirittura un intralcio all’industria della caccia. Nel Loliondo (regione a nord della Tanzania) interi villaggi sono stati distrutti e migliaia di individui deportati per fare posto alla Otterlo Business Corporation e ai suoi percorsi di caccia. La maggior parte dei territori dove i Masai cacciavano e pascolavano sono oggi fattorie o parchi in concessione a privati. Inoltre, i governi locali hanno più volte tentato di “modernizzare” questo popolo che vive ancora in un regime di condivisione delle terre.


Guaranì

Uno dei primi popoli giunti a contatto con gli europei 500 anni fa, oggi in Brasile sono circa 46.000, mentre molti altri vivono in Paraguay, Bolivia e Argentina. Sono divisi in vari gruppi tribali – il più ampio è quello dei Kaiowá, il “popolo della foresta” – tutti dotati di una profonda spiritualità: la tradizione li vuole alla perenne ricerca di una terra rivelata loro dagli antenati, la “terra senza mali”, dove vivere per sempre in pace e serenità. Nel corso dei secoli, però, si sono visti sottrarre i territori dove sono sempre vissuti per fare posto alle industrie nazionali. Nello stato brasiliano di Mato Grosso do Sul la diffusione di culture agricole e allevamenti ha portato alla deforestazione di quasi tutto il territorio un tempo occupato dai Guaranì, oggi costretti a vivere in riserve sovrappopolate e a subire discriminazioni e razzismo da parte delle autorità.

Aborigeni

In Australia si contano circa 500 diversi popoli aborigeni, ciascuno con una propria lingua e un territorio di appartenenza, per un totale di 670.000 individui. Prima dell’invasione da parte degli occidentali, la maggior parte viveva coltivando sulla costa o cacciando nell’entroterra. Oggi la metà di loro vive in città in condizioni di estrema povertà. Fino al 1992 la legge australiana riteneva i territori occupati dagli aborigeni “terra di nessuno” e quindi pronta per essere occupata dai coloni e dai loro discendenti. Per gran parte del XX secolo, dopo aver finalmente bandito le uccisioni indiscriminate, per sradicare la cultura aborigena le autorità erano solite portare via gli infanti dalle loro tribù per farli crescere con famiglie occidentali o all’interno di missioni cristiane. Oggi, sebbene siano state introdotte nuove leggi per tutelari i diritti dei popoli aborigeni, il governo continua a osteggiare le loro richieste e a porre ostacoli alla restituzione delle loro terre.

Innu

Gli Innu hanno abitato per millenni l’area sub-artica del continente americano che loro chiamavano Nitassinan, la “nostra terra”. Oggi i 18.000 individui rimasti sono relegati nel Canada orientale, tra gli stati del Québec e del Labrador. Noti in francese come montagnais, fino al secolo scorso erano cacciatori nomadi soliti viaggiare in piccoli gruppi di due o tre famiglie, equipaggiati con le tradizionali racchette per la neve e le canoe. Durante gli anni Cinquanta e Sessanta, il governo canadese e i missionari cattolici li hanno costretti a stabilirsi in comunità permanenti, e i disagi che ne sono seguiti hanno fatto emergere alcolismo, violenze, suicidi e tossicodipendenze. Molti Innu lottano ancora oggi per preservare la propria cultura, ma il governo continua a disporre arbitrariamente dei loro territori per concessioni minerarie e installazioni industriali.

Popolazioni indigene della Siberia

Una popolazione di circa 300.000 persone suddivise in 30 diverse tribù. Alcune di esse sono allevatori nomadi di renne che vivono nella tundra, altre abitano in insediamenti nelle foreste conifere della Siberia e si affidano a una combinazione di allevamento, caccia e raccolta. I gruppi più estesi – i Sakha e i Komi – hanno ottenuto di costituire degli stati autonomi all’interno della federazione russa, ma durante il governo sovietico i loro territori erano stati confiscati dalle aziende statali. Con l’industrializzazione, gli interventi dall’esterno si sono intensificati e le autorità russe hanno cercato a lungo di sopprimere le lingue e gli stili di vita tribali. Oggi i problemi più preoccupanti per questi popoli sono dovuti all’inquinamento ambientale causato dall’estrazione di gas e petrolio e dal disboscamento.

Per maggiori informazioni sulle popolazioni indigene di tutto il mondo potete visitare il sito di Survival International.

Flavio Alagia

Dopo una laurea in giornalismo a Verona, mi sono messo lo zaino sulle spalle e non mi sono più fermato. Sei mesi a Londra, un anno in India, e poi il Brasile, il Sudafrica… non c’è un posto al mondo dove non andrei, e non credo sia poco dal momento che odio volare. L’aereo? Fatemi portare un paracadute e poi ne riparliamo.

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