Seicentoventi (IV)

Da Snake788

Tii Tiii Tiii

La sveglia suonò tentando di svegliare un cuore già sveglio.
I miei occhi fissavano il vuoto già da un po’. Guardai il mio Casio al polso e mi alzai all’istante. Mi cambiai mentre mangiavo qualcosa. Poi afferrai ogni documento utile e lo infilai nel borsello. Feci tutto di corsa, ma quando fui davanti alla porta d’ingresso, mi voltai indietro a guardare la stanza, sospirai pensando a ciò che stavo per combinare. Timidamente qualche senso di colpa si fece sentire. Poi subentrò l’istinto che, con una mazzata, uccise ogni cosa, e i miei occhi tornarono a scintillare.

Mezz’ora dopo ero in una parte imprecisata di Milano. Guardavo con ansia l’orologio. Alle dieci avevo l’appuntamento con Massimo. Dovevo portargli i soldi per la moto, che, al momento, non avevo. Attendevo la persona che doveva occuparsi di ciò.

-   Alla buon ora! – dissi.
-   Senti! Già è tanto che ti faccio questo piacere! Non ti lamentare! – sorrise.
-   Allora! Li hai portati? – dissi, sentendomi un tossico in crisi d’astinenza.
-   Certo! E’ tutto in questa busta! -
Afferrai la busta e scambiai un’occhiata seria. – Ci sono tutti? -
-   Sì, ci sono tutti… -

Trenta secondi dopo ero in metro. L’adrenalina saliva. Avevo un borsello pieno di soldi e documenti. Mi sentivo diverso dal normale, come se avessi avuto gli occhi di tutti puntati addosso. Dopo qualche fermata uscii e, a passo svelto, mi diressi verso casa. Il luogo dell’incontro era proprio lì.

Massimo non c’era ancora. La strada era piena di vita come tutte le mattine milanesi che si rispettino. Mi fermai davanti casa. La portinaia mi salutò con un sorriso. Avrei voluto prendere un caffè da Rocco, ma avevo paura ad allontanarmi e non incrociare Massimo.
Tutto questo per lei… quella fantastica Ducati Monster 620.
Sospirai e udii un rombo di marmitte provenire da lontano. Aguzzai lo sguardo e sorrisi.
Massimo arrivò, fermandosi davanti a me. Scese e, togliendosi il casco, mi mostro la sua folta chioma bianca. Subito il mio sguardo ricadde sulla moto e il mio cuore mi confermò che non era stato un colpo di fulmine di una sera, ma amore puro. Infatti, la voglia di averla crebbe ancora di più.
-   Ciao Ciro! -
-   Salve signor Massimo. -
Scambiammo i soliti convenevoli e andammo al PRA di Milano. Firmai un mucchio di fogli che non avevo mai visto in vita mia. Gli diedi la somma pattuita e lui le chiavi. Infine ci salutammo.

Tornai da solo a casa. La moto era ancora lì ad aspettarmi. In una mano avevo le chiavi e nell’altra l’atto di proprietà ma non avevo ancora realizzato che quella moto fosse mia. La vedevo come una ragazza sconosciuta di cui sapevo solo il nome. Mi sentivo in dovere di prendere confidenza con lei.

Scese la notte e Milano si addormento.
Tutti eccetto me. Andai da lei, giù al palazzo. Con una mano sfiorai il serbatoio. Toccai una manopola e poi la sella. “Pensa! Non le sono ancora montato su!”
In realtà avevo paura. Era la mia prima volta (tanto per fare una scontata similitudine)
La moto era sul cavalletto. Alzai una gamba e salii. Impugnai le manopole.
“Wow”
Respirai a pieni polmoni quella sensazione di libertà.
Girai la chiave e con ansia l’accesi.
Misi a folle e lasciai lentamente la frizione. La moto era ferma ma accesa. Produceva un rumore bellissimo.
Era fantastica.
Accarezzai il serbatoio.
“Faremo grandi cose insieme… ma prima… dovrò imparare a guidarti!”
 


 

FINE

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