L’adrenalina accumulata si mescolava al sangue.
Era l’unica cosa che riusciva a scaldarmi.
Il cuore batteva ancora, compresso in uno stretto giubbotto di pelle.
Le mani, incollate al manubrio, erano pronte a scattare all’occorrenza. Nonostante il freddo che penetrava il tessuto dei guanti e ghiacciava tendini e muscoli.
I piedi non li sentivo più. Quelle scarpe erano comode per giocare tra cambio e freno ma troppo estive per l’inverno. Ogni volta che cambiavo marcia, sentivo qualcosa scricchiolare dentro di me. Quelle ossa, ormai gelide, sembravano di cristallo.
“Non manca molto… resisti”
Il cielo sopra di me non era d’aiuto. Le nuvole coprivano la quasi totalità della volta celeste lasciando il sole al di là di queste.
Così, in quella strana penombra mattutina, fatta di macchine e persone, d’asfalto e gelo, m’addentravo nel cuore di quella città. La mia città.
Mi sentivo stranamente solo in quel traffico. Nessun’altra moto era nei paraggi. Solo io e la mia seicentoventi. Tutte le altre erano sicuramente nel loro letargo invernale e i padroni, in quelle macchine lì, a percorrere gli stessi chilometri per andare a lavoro.
“Ci siamo quasi…”
Vidi il cartello con il nome dell’uscita sopra di me.
“Uscita 2… vai…”
La visiera era semi appannata. Sporca e lercia d’insetti. Il casco nero, ormai, aveva preso i segni del tempo. Stava diventando vissuto.
Il palazzo della motorizzazione era vicino al capolinea della metro. Seguivo quelle indicazioni per arrivarci. Non potevo sbagliare.
E difatti, eccola lì.
MOTORIZZAZIONE CIVILE DI MILANO
“Sì!”
Mi fermai davanti al cancello.
Spensi il motore girando la chiave verso sinistra.
Lentamente portai le mani tremolanti al casco e cercai di toglierlo.
Sembrò una liberazione, dopo quasi 40 chilometri al freddo.
Guardai l’orologio
8:50
“Ce l’ho fatta… grazie Dio.”
Ma non era finita. Il bello doveva ancora arrivare.
- Ciro! Siamo qui! -
Continua… Sabato ore 10:00