Al giorno d’oggi sono sempre di più gli ostacoli che chi è alla ricerca di una nuova occupazione deve affrontare: non solo ci si trova a doversi districare nella jungla di annunci di lavoro, scremando quelli attendibili da quelli ingannevoli, a dover sopravvivere ad una selezione che vede una concorrenza sempre più spietata tra candidati pronti a sciorinare la conoscenza di 15 lingue straniere e almeno 5 Master, ma anche a dover prestare particolare attenzione a tutto ciò che pubblichiamo sulle nostre pagine social.
Ebbene sì: anche se riteniamo che i nostri account Facebook, Twitter, Instagram etc siano spazi privati, all’interno dei quali scrivere e postare ciò che ci va, non è così. Tutto ciò che pubblichiamo sui nostri account social, siano foto piuttosto che status, non sono limitati alla nostra cerchia di amici, ma potenzialmente visibili da milioni di persone. A meno di non avere impostazioni di privacy che blocchino gli sguardi indiscreti sulla nostra privata.
Il tema, già studiato da qualche anno nei Paesi anglofoni, USA in primis, è quello della digital reputation, ovvero l’immagine che traspare di noi tramite i social network: appassionato di politica? Ambientalista? Fan dei Bee Gees? Tutte queste sono informazioni che, tramite ciò che condividiamo, possono arrivare ad un futuro datore di lavoro e, a seconda dei casi, avvantaggiarci o meno.
Una recente ricerca condotta da Adecco, mostra come i selezionatori siano sempre più attenti alle pagine social dei candidati e come queste ultime possano essere determinanti in fase di selezione, ad esempio per verificare il cv di un candidato.
Come fare dunque per avere una buona digital reputation ma, allo stesso tempo, avere uno spazio di condivisione social per i propri momenti privati (anche per quelli più goliardici)? La risposta che gli stessi esperti di selezione danno è quella di crearsi un profilo social professionale, come ad esempio LinkedIn, dove poter essere contattati per offerte di lavoro, e lasciare ad account protetti da privacy la propria vita personale.
Eppure, non dovremmo scordarci nemmeno delle previsioni ex. art. 8 dello Statuto dei Lavoratori secondo il quale il datore di lavoro non può in nessun modo indagare le opinioni dei lavoratori. C’è chi dice tuttavia che Internet è un altro tipo di territorio, per il quale dovrebbero essere create regole ad hoc. Per il momento, in questa indecisione normativa, non ci resta che blindare le nostre pagine personali.
Carlotta Piovesan