La regista Ava DuVernay allora con il suo "Selma: La Strada Per La Libertà" rispolvera attentamente quella brutta pagina di Storia americana dal punto di vista di un Martin Luther King insicuro e stanco, consapevole dei passi avanti conquistati verso un potere che finalmente comincia a riconoscerlo, ma ancora lontano dalla meta prefissata che dovrebbe consentirgli di fare approvare le sue, legittime, richieste. Come il "Lincoln" di Steven Spielberg - con il quale condivide Paul Webb alla sceneggiatura - la pellicola della DuVernay è girata principalmente in interni, quelli in cui si discute sia su come agire e reagire e sia su come limitare o risolvere le questioni politiche portate alla base. Ma rispetto a quel film di due anni fa, dove l'azione dei dialoghi e le strette di mano politiche erano sufficienti a risolvere il problema della schiavitù, in questo caso ad essere decisivo e a fare la differenza, scrivendo la Storia, è il mezzo di comunicazione di massa per eccellenza, quella televisione che trasmettendo le immagini violente di uomini neri, indifesi, picchiati a sangue e uccisi senza alcun motivo specifico da guardie bianche armate, mobilita la maggioranza di una nazione a schierarsi in favore di una stessa causa, costringendo un Presidente, inizialmente poco interessato alla questione, a comprendere le urgenze di una legge indispensabile e imparziale.
Nonostante l'operazione possa perciò considerarsi non necessaria o richiesta, nel suo piccolo il lavoro della DuVernay merita di conseguire un apprezzamento, se non altro per essere riuscita a raccontare un pezzo di Storia, evitando ogni genere di trappola o scorciatoia drammatica. Attenzioni basilari che chiunque si avvicini ad operazioni di questo tipo non dovrebbe mai perdere di vista.
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