Probabilmente ognuno di noi ha avuto una nonna che ha dovuto fare i conti con il periodo del fascismo e quasi sicuramente ogni famiglia italiana ha avuto un parente o un amico ebreo che è stato preso, messo su un treno e non è più tornato e invece dubito che abbiate avuto un familiare che ha lavorato nei campi di cotone o che cantava gospel o al quale hanno privato il diritto di voto a causa del colore della pelle. Voglio dire, tutti questi film che parlano di negri sono un bel po' distanti dalla cultura di noi europei; ne conosciamo gli avvenimenti storici e ne prendiamo atto, ma non fanno parte di noi e forse c'è un motivo se i rapper italiani più famosi che abbiamo avuto sono stati gli Articolo 31. Semplicemente certe cose non fanno parte della cultura europea.
Quando Martin Luther King iniziava le sue prediche non violente affinché il pregiudizio etnico della società americana degli anni '50 venisse debellato, in Europa ci leccavamo le ferite inferte dal genocidio della Germania Nazista e tentavamo di dimenticare l'Olocausto del Terzo Reich e quindi forse è normale se ci viene la pelle d'oca al pensiero dei campi di concentramento o ricordando la povera Anna Frank chiusa dentro una soffitta o ascoltando la storia del bambino con il pigiama a righe e se non ci appassioniamo così tanto alle vicende degli abitanti di Selma ai quali veniva continuamente rifiutato il diritto di voto e che sono stati più volte massacrati. Oppure non ci appassioniamo alla loro storia semplicemente perché la regista Ava DuVernay ha fatto un film fiacco e che racconta la vicenda didascalicamente e senza emozioni, tanto da lasciare lo spettatore impassibile perfino durante le violente scene dei pestaggio.
Che poi poco tempo prima avevo visto il film Pride e anche lì si parla di una marcia non violenta, ma in quel caso erano gli omosessuali del Regno Unito a richiedere i diritti violati e però Pride ha una regia attenta e coraggiosa e racconta le vicende con estrema forza e intelligenza e Selma invece è un film che scorre per oltre due ore liscio e senza troppe emozioni. Una sorta di documentario romanzato che narra di una vicenda interessante, ma che si discosta ben poco dai tanti film sul razzismo verso gli afroamericani che abbiamo visto nel corso degli anni.
Poi vabbè, nel doppiaggio italiano Martin Luter King ha la voce di Ross Geller quello di Friends e quindi niente, ogni credibilità dei suoi discorsi è andata a puttane.