Semplificare complica la vita

Creato il 13 settembre 2011 da Albertocapece

Anna Lombroso per il Simplicissimus

Nei giorni scorsi una lettrice del blog irriducibilmente anonima chissà perché, lamentava come la lettura di un mio pezzo (qui) sul bisogno e sulla “perdita” di cultura le avesse provocato il “mal di testa”. Richiamandomi all’opportunità di raggiungere quegli standard di leggibilità e semplificazione utili a guadagnarsi un più ampio pubblico di lettori. Il mio pezzo evocava il rapporto felice tra potere e cultura applicato a Venezia, quando si riteneva che sapere e conoscenza fossero beni da conquistare per diventare migliori in tutti i campi, compreso il commercio, ma soprattutto per essere più armoniosi e felici con se stessi e gli altri.
E ne sono convinta, credo che sia proprio così, che lo studio – e la fatica che comporta – siano ben remunerati con un più profondo e completo rapporto con la ragione, le emozioni, le passioni e la bellezza. Certo è un processo che comporta impegno attivo. Qualche sforzo. Il superamento di una pigrizia che in questi anni è stata invece favorita come una virtù, perché è l’anticamera sommessa ma tenace della dipendenza e dell’ubbidienza.

Per questo la sedicente semplificazione, che peraltro evoca sinistramente Calderoli, mi fa rabbrividire, perché nella nostra contemporaneità sconfina nella infantilizzazione del pensare collettivo promosso da quella criminale e degradata logica di rappresentazione della realtà e della verità in cui ceto politico e ceto giornalistico, poteri istituzionali e poteri mediatici si sono fusi inestricabilmente nell’elaborare un racconto sociale, l’unico dotato di corso legale, l’unico accettato come reale e diretto a ingannare e addormentare. Si a questo regime piacciono soggettività inerti e apatiche, un popolo di bambini i cui capricci si placano con promesse di giochi e balocchi, di scorciatoie facili e sogni ormai ridotti ad incubi. Meglio veline che biologhe, meglio calciatori con fisico bestiale che fisici. E per estensione meglio evasori che poveri, meglio trasgressori che onesti, perché l’inclinazione alla “facilitazione” comporta inevitabilmente compiacente resa all’irrisione delle regole e all’illegalità. Allo stesso modo funziona uno stravolgimento semantico: la morale diventa ridicolo moralismo, le idee deplorevoli ideologismi, la Carta fastidiosa carta straccia da conferire nella discarica insieme alla democrazia, ai diritti, alla dignità.
Eh si, si esprime “semplicemente” questo ceto politico. Parlano – a loro dire – come uomini qualunque e infatti professano qualunquismo. Rivendicano che la loro è una cultura mediatica così il pensiero può essere dequalificato legittimamente a spettacolo e intrattenimento. Riducono ogni contenuto, e ne hanno pochi, a un banale schema a due valori, pro e contro quindi bene e male in lotta, e conviene schierarsi con loro.

Così l’ignoranza diventa un valore, per non dire un vanto. Ma occorre vigilare proprio per questo. Sono ignoranti, incolti, rozzi, grossolani è vero ma per noi vogliono consolidare e mantenere un’altra ignoranza, quella che prevede l’occultamento della realtà, quella che esclude dalla conoscenza e dal sapere, quella che emargina dall’informazione, quella che infine esonera dalla responsabilità. Per ottenere questo desiderabile obiettivo alimentano la potenza mediatica di feticci specializzati, il ministro dell’economia, l’addetto alle grandi crisi, lo sbriga faccende dei terremoti, lo scienziato spiccia centrali, il dicastero della paura e tra un po’ quello dell’amore e della morte, cui affidare e delegare decisioni che riguardano le nostre esistenze, in una liturgia che deve preservare i loro arcana imperii, il loro possesso esclusivo di potere, ricchezza e forza, per lasciarci ignari bambini e telespettatori apatici, abilitati solo al consumo.

Io non credo che la complessità della nostra contemporaneità si comprenda se non ci si attrezza con il sapere e la cultura. E non credo nemmeno che senza di essi si raggiunga la necessaria semplicità e razionalità delle soluzioni e dei modi di governarla senza subirla. È come per i nodi, bisogna saperlo scioglierli, mentre oggi chi detiene il potere pensa di tagliarli con uno spadone da capitan fracassa, spaccone e impotente. Ed è come per l’antipolitica, che sono loro ad esercitare davvero persuadendoci a stare lontani, ad astrarci, in modo da lasciarli operare quella metamorfosi desiderata e raggiunta da cura del bene generale a tutela e esaltazione dell’interesse privato.

C’è una casta trasversale cui è meglio non appartenere, quella degli ignoranti, perché la non conoscenza alla lunga diventa incoscienza, perché per via di certi piccoli profitti si approfittano di chi non sa, perché la pigrizia del pensiero diventa acquiescenza e accidia e così si va a finire dalla alla moltitudine degli intoccabili per non dire degli schiavi.


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