Ho cominciato a pensarci pochi giorni dopo l’inizio del lavoro. La collega che mi stava spiegando i miei compiti di base, a un certo punto, mi ha detto: “Ah, è vero che tu studi giapponese! Che bell’hobby!”. Rumore di unghie sulla lavagna.
Because I would never think about Japan while I work
Una settimana dopo, parlando con un’altra delle ragazze del mio ufficio, ho accennato ai miei due anni a Kyoto e, dopo la sorpresa, è arrivata la domanda: “Ma il cibo giapponese fa schifo, vero?”.
Sono episodi insignificanti, ma che si ripetono spesso. All’inizio mi blocco un attimo, perché non sono più abituata. Per anni ho avuto intorno amici giapponesi, amici conosciuti in Giappone, e anche la mia vita virtuale è stata circondata da persone con interessi simili ai miei. Essere messa di nuovo di fronte al fatto che la maggior parte della gente non solo non ha la minima conoscenza, ma neppure la minima curiosità riguardo a cose che per me sono quotidiane, mi destabilizza.
È ovvio che in questi casi faccio un sorriso e do risposte scontate, perché si tratta sempre di chiacchiere di circostanza, tanto per dire qualcosa. E allora semplifico, limo, riduco il Giappone in bocconcini facili da digerire e lascio che resti quella fotografia esotica e sgraziata che sta nelle loro teste.
Non è sempre facile, perché per me il Giappone è ancora al centro dei miei progetti futuri. Questo lavoro stesso è soltanto un appoggio facile, il sostegno necessario e non troppo impegnativo mentre studio per l’N1. I momenti che posso dedicare allo studio, o alla lettura, o all’ascolto, o alla visione del giapponese, sono quelli in cui mi sento a casa.
Nel mio quotidiano londinese è inevitabile mettere il Giappone in una scatola piccolina e poco ingombrante, eppure nel fondo del mio cuore mi pare di tradire una parte di me - la più vera - in modo imperdonabile.
I started thinking about it a few days after the beginning of my new job. A collegue was explaining me my basic tasks, and for some reason she said: “Oh, right, you study Japanese! What a nice hobby!”. Sound of nails scraping down a chalkboard.
A week later I mentioned to another girl from the office that I lived in Kyoto for two years. She got surprised at first, then asked: “Japanese food is horrible, right?”.
These are just trivial episodes, but they happen often. At first I freeze: I’m not used to this anymore. For years I've had Japanese friends, friends I met in Japan, and even my virtual life has been surrounded by people who share my interests. Now I have to face one more time the fact that most people don’t know, and are not in any way curious about, things that are part of my everyday life. It throws me off centre.
... like this cat
Of course I smile and give clichéd answers, because that’s what you do during small talks. So I simplify, erode, reduce Japan into small pieces easy for them to assimilate. I preserve the esotic, unbalanced picture of it they have in mind.
It isn’t easy most of the time, because Japan still is the centre of my future projects. This job itself is the necessary, undemanding support I need while I study for JLPT N1. When I can spend time learning, reading, listening, watching Japanese, then I feel at home.
At home
In my London routine I have to store Japan in a small box and keep it out of the way, but deep in my heart I feel like I’m unforgibably betraying the real me.