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Senese e la Banda della Magliana. Quando la psichiatria è la chiave che apre una cella

Creato il 13 ottobre 2011 da Yourpluscommunication

Senese e la Banda della Magliana. Quando la psichiatria è la chiave che apre una cellaPsichiatria e crimine. Vecchia storia questa che, nel caso di Michele Senese, si incrocia con la Banda della Magliana che lui ben conosceva. Anzi ci trattava armi e droga nello specifico.
Nella banda era prassi rivolgersi alle perizie psichiatriche e mediche in genere. De Pedis si avvalse di una diagnosi di un falso tumore, Abbatino ottenne l’invalidità civile e si finse paralitico, Edoardo Toscano, per l’omicidio Selis si fece riconoscere il vizio parziale di mente.

Negli anni ‘80 esisteva un circuito di manicomi giudiziari dove convivevano boss del calibro di Salvatore Nicitra, Marcello Colafigli e Giuseppe Marchese. Da sottolineare la dichiarazione di quest’ultimo:
«Sono cognato di Leoluca Bagarella, a sua volta cognato di Salvatore Riina, ho fatto parte di Cosa Nostra (…) dall’età di sedici anni, ma sono stato “combinato”, in maniera riservata, all’inizio degli anni Ottanta, pressappoco all’inizio del 1981, allorché all’interno di Cosa Nostra era in atto la guerra di mafia al cui esito e’ da ascrivere la prevalenza dei corleonesi (…). Sono stato detenuto dagli inizi del 1982, a seguito della strage di Bagheria, e, per consiglio che mi veniva dall’esterno del carcere, da parte dei miei associati, i quali dicevano di curare i miei interessi processuali, ebbi a fingermi malato di mente, di talché entrai nel circuito degli ospedali psichiatrici, (dove) ho conosciuto persone di primo piano della malavita romana, tra le quali in particolare Maurizio Massaria, Giorgio Ermeti, Salvatore Nicitra, Roberto Belardinelli e Marcello Colafigli. Quest’ultimo, per quanto ho potuto constatare, sebbene si fingesse catatonico, era tuttavia il punto di riferimento rispetto a tutti gli altri, i quali gli portavano grande rispetto».

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Ma è Alessandro D’Ortenzi che svela in modo inequivocabile come fosse prassi rivolgersi alle malattie mentali nei momenti di massima difficoltà processuale. Lui era il trade union tra la Banda della Magliana e il professor Semerari (nella foto), il luminare della psichiatria al soldo di criminalità, camorra e mafia. Il Professore venne decapitato dalla Nco di Cutolo.

D’Ortenzi rispondeva così al presidente della Corte D’assise che chiedeva la verità sulle perizie “guidate”:
«Certo che è vero, Presidente, io l’ho pagata 150 milioni e ne ho fatte fare 85 perizie, ho fatto prosciogliere 85 persone (…) e ogni perizia veniva pagata dai 100 ai 150 milioni (…), ma era l’unico modo per poter farla franca di fronte alla Giustizia, di chi commetteva gravi reati di una certa rilevanza sociale … ».
Ovvio, spiegò ancora, che, «quando si fa una perizia psichiatrica», occorre essere «all’altezza di comprare i periti»; ma, proprio allo scopo di indirizzare «le perizie appositamente, perché venisse emessa (…) sentenza di proscioglimento e, quindi, un riconoscimento della totale infermità mentale», esisteva tutta un’organizzazione, «impostata al manicomio di Aversa, attraverso il professor Semerari, Domenico Raguzzino, il professor Carlo Citterio, il professor Franco Ferracuti».
Uscito dal manicomio giudiziario, raccontò ancora, si diede da fare per propiziare l’incontro tra il professor Aldo Semerari ed suoi amici malavitosi, interessati alle «potenzialità» del noto psichiatra, precisando, altresì, che ulteriore scopo, suo e dei suoi amici, era quello di continuare a delinquere impunemente:

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«… tanto più che poi ci avevo la carta da matto, perciò potevo rapinare come me pare, perché se in caso d’arresto, me risbattevano in manicomio, riordinavo un’altra perizia collegiale e venivo prosciolto…».

Ma sarà Marcello Colafigli (nella foto) ad essere un vero maestro in questa arte raffinata. Prima di essere condannato per l’omicidio De Pedis il suo curriculum criminale-psichiatrico annoverava: quattro sentenze di proscioglimento per vizio totale di mente, una che lo aveva riconosciuto seminfermo di mente e cinque, di cui tre emesse dal Pretore, che lo avevano ritenuto, invece, pienamente imputabile. Il suo certificato penale, oltre ad evidenziare un’alternanza di verdetti, attestava altresì che, mentre per i reati più gravi ne era stata sempre esclusa l’imputabilità, ciò non era, al contrario, mai accaduto per i reati meno gravi.

Nel processo per l’omicidio di Enrico De Pedis, i professori Pier Luigi Ponti, Ugo Fornari e Marco Lagazzi, esprimono, per dirla coi giudici di primo grado, un giudizio «radicale, e senza sfumature di ambiguità, là dove definiscono le precedenti perizie «inesatte perché basate su dati quantomeno incompleti, oltre che sulla supina acquiescenza delle dichiarazioni dell’imputato», dal momento che «gli unici accertamenti diagnostici esperiti escludono l’esistenza di un danno organico» e che «Colafigli ha notevoli capacità simulatorie e manipolative…».

E questi metodi Michele Senese, detto o’Pazzo, li conosce bene. Ma oggi, rispetto a ieri, qualcosa è cambiato. L’attenzione è aumentata e i riflettori sono accesi. I trucchi del Mago sono scoperti e non ci sono più applausi per lui.
Quella di Senese è una storia che passa attraverso gli anni e il crimine organizzato in Italia. E’ una storia nera di un paese che merita di essere guardata da vicino. Noi la seguiremo, giorno per giorno, facendovi conoscere tutto ciò che possa creare, non un mito da seguire, ma il male da estirpare.

Alessandro Ambrosini

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