In fondo Sartre è stato chiaro. Affatto dogmatico, egli ha mostrato come il non-senso del passato che ritorna, frutto di una libertà senza limiti, di una libertà che nella sua immensa onnipotenza si è privata della possibilità della non-libertà, è soltanto l'ennesima illusione che disturba un'esistenza priva di ogni possibilità di trovare (finalmente) se stessa. Dov'è il "senno di poi"? Nell'adesso? Nel passato? Se fosse in quest'ultimo sarebbe statuario come un calco di gesso, immobile, intoccabile, perfetto in tutti i possibili sensi, completo e quindi, in ultima analisi, utile solo a riempire la memoria attraverso ciò che si suole chiamare "esperienza".
Ma l'esperienza non ha ragione di ripetersi. Nell'adesso non vi può essere alcun "senno" fondato su di essa e, cosa ancora più grave, nessuno ha mai la possibilità, esattamente come nel caso della libertà, di potersi pensare al di là della scelta, condizionato dalle fattezze statiche di un monumento che congela in sè il dispiegarsi d'ogni evento. Dunque il "senno di poi" è un'illusione: adesso, osservando la fissità del mio passato (attraverso il quale sono giunto all'adesso), mi prendo così seriamente da pensare davvero di essermi finalmente affrancato da quell'immane peso del "possibile". Troppo seriamente per essere vero!
Quanto si amerebbe l'ineluttabile, dolce e suadente come la morte! Ogni essere, stanco di un lavoro senza posa, quanto amerebbe quella sottile se-duzione che tira invece di lasciarsi spingere! E così, libero di illudersi, l'uomo preferisce credere che si possa riaffrontare il passato a piacimento, non capendo (spesso in malafede) che esso ha questa forma plastica solo perchè è appunto trasceso in un luogo ove la nostra modalità d'essere "al passato" ce lo mostra.
Ma guardate bene le vostre esperienze! Fissatele negli occhi! Vedrete quanto è freddo il colore del marmo che le stringe tra le sue spire di per-fezione, di compattezza che ha definitivamente tolto l'onere, al di là d'ogni possibile giudizio, della libertà e della scelta. "Stavvi", immobile, come Minosse, solo per mostrare che l'unico pregio dell'inferno è proprio la leggerezza d'ogni sfumata possibilità.
Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia:
essamina le colpe ne l'intrata;
giudica e manda secondo ch'avvinghia.(Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, Canto V)