Provo a scrivere una serie di post sul mio hobby, la demonologia.
A scanso di equivoci (lo dico perché la gente è strana, anche di più degli argomenti metafisici che sto per trattare), è meglio precisare che i post non saranno basati su esperienze personali, ma non saranno nemmeno opere di fantasia, casomai rielaborazione di studi e letture, spero interessanti per qualcuno, tutto qua.
Cominciamo dalle basi.
Filosofi come Eraclito, Anassagora, Socrate, Platone, Plutarco, Plotino, Apuleio e molti altri ci hanno lasciato le loro riflessioni sui demoni, individui “a mezz’aria”, ognuno con la sua posizione, il suo compito, il suo modo di essere e in grado di influire positivamente o negativamente sui destini umani.
“Ethos anthropoi daimon”
Eraclito Per Platone il demone è intermedio fra il divino e l’umanità e, più che una credenza ne fa un assunto filosofico che interpreta con valenze ontologiche ed etiche. Ne tratta in molte opere. Per esempio nel Symposium si legge: “Sono gli inviati e gli interpreti che vanno e vengono tra cielo e terra, volando in alto con la nostra venerazione e le nostre preghiere, e discendendo con le risposte e comandamenti divini”;
“E’ grazie all’elemento demonico che hanno potuto esserci la divinazione e le pratiche dei sacerdoti, in rapporto alle cose che hanno a che vedere con i sacrifici, i riti di iniziazione, gli incantesimi, le diverse profezie e la magia”.
Il daimon è anche il compagno scelto nell’Ade dall’uomo prima di cominciare la sua esistenza terrena e che, dopo la morte, guida l’anima sino al luogo in cui deve essere giudicata. Il suo compito è consigliare ed illuminare.
Per Plotino risultano costituiti di materia intelligibile che può permettere loro di assumere corpi aerei ed ignei. Poiché in parte essi sono materiali (ritiene che abbiano affezioni e siano perfino dotati di voce) o comunque non totalmente appartenenti solo al mondo dello Spirito, sono in funzione dei bisogni dell’Universo. In questo modo il demone assume un ruolo specifico nell’ambito della complessa attività della terza ipostasi, per ciò che concerne la sua attività di sostegno del mondo.
Socrate si diceva tormentato da questa voce interiore che chiamava dàimon che non era la voce della sua coscienza ma piuttosto un’entità che lo dissuadeva dal compiere certe azioni. Il motivo del demone è strettamente connesso all’accusa di empietà e alla condanna a morte di Socrate.
“Forse potrà parere strano che io vada in giro e mi dia tanto da fare per dare consigli a questo e a quello in privato, e se poi si tratta di dare consigli in pubblico alla città e di salire sulla tribuna per parlare al popolo, allora mi manchi il coraggio. E la ragione di questo me l’avete sentita dire più volte e in più luoghi, che c’è dentro di me non so che spirito divino e demoniaco; quello appunto di cui anche Melèto, scherzandoci sopra, scrisse nell’atto di accusa. Ed è una cotale voce, che, sino da fanciullo, sento io dentro. E tutte le volte che io la sento, mi svolge da quello che son per fare: sospingere, non sospinge mai”. Apologia XIX
Plutarco di Cheronea e Apuleio di Madaura nelle loro opere trattano nello specifico del demone di Socrate, il De Genio Socratis e il De Deo Socratis per l’appunto. Il De Genio Socratis è in forma di dialogo e si svolge su due piani: uno storico, nel quale Plutarco ci racconta della gloriosa liberazione di Tebe dall’egemonia spartana del 379 a.C., e uno filosofico, nel quale vengono trattati argomenti legati al demone di Socrate e alla demonologia in generale.
Plutarco scrive che un giorno il filosofo, mentre camminando interloquiva con Eutifrone “…all’improvviso fermandosi e tacendo, stette raccolto in se steso per lungo tempo” poi cambiò strada invitando gli amici che lo accompagnavano a fare altrettanto. Alcuni seguirono il suo consiglio, altri continuarono a procedere per la stessa via ma vennero di lì a pochi istanti travolti da un gruppo di maiali che l’insudiciarono. Teocrito, che nell’opera di Plutarco si dichiara testimone dell’accaduto esprime nell’opera la sua meraviglia “per il fatto che mai il dio trascura Socrate e lo abbandona”. Il commento di Plutarco stesso è che Socrate “era guidato da un potere superiore e da un maggiore intendimento verso il Bene”.
Apuleio fa una catalogazione molto sistematica e dettagliata dei demoni e inserisce il segno ricevuto da Socrate nella categoria dei demoni superiori, ovvero quelli che non hanno mai subito contaminazioni corporee.
Eros è, nel Simposio di Platone, un Dèmone intermediario tra gli uomini e gli dei. Dio primordiale è raffigurato con le ali per la sua capacità di elevarsi dal mondo terreno alla sfera celeste.
Per Senofonte il demone socratico è una vera e propria entità (e tale la consideravano i contemporanei del filosofo), lui stesso attesta il verificarsi nella vita del filosofo di prodigi, segni, eventi, preveggenze provvidenziali, nel senso che la sua voce interiore, seppur a volte in modo enigmatico, dava delle indicazioni simili ai responsi della mantica.
Anche Cicerone, nell’opera dedicata alla divinazione ricorda episodi al riguardo, come quello per cui Socrate sconsigliò Critone di andare in campagna dove in effetti, essendovisi tuttavia recato, rimase ferito da un ramo d’albero ad un occhio.
“Non mi hai ascoltato quando ti ho sconsigliato di andarci – disse- seguendo io, come sono solito, un presagio divino”,
o come quell’altro per cui Socrate, trovatosi in fuga con il comandante Lachete dopo la sconfitta nella battaglia di Delio, giunto ad un trivio non volle continuare la sua strada con lui perché ne era trattenuto dal demone; in effetti coloro che non seguirono il suo consiglio vennero poi tragicamente a scontrarsi con la cavalleria nemica.
Ξενοκράτης – Uno dei primi demonologi, cioè un filosofo che si occupò sistematicamente di demoni fu Senocrate di Calcedone (Calcedonia 396 – Atene 314 a.C.), discepolo di Platone e terzo scolarca dell’Accademia (ne assunse la direzione nel 339/338 a.C. e la tenne fino nel 314 a.C. quando morì, ottantaduenne). Di lui ci sono pervenuti frammenti e testimonianze, compresa quella di Diogene Laerzio che ce lo presenta come uno scrittore assai fecondo di opere in prosa, poesia ed esortazioni e ce ne fornisce anche i titoli.
Un apporto importante di Senocrate alla storia della filosofia è la sua divisione della filosofia in tre rami: fisica, etica e logica. Di questa tripartizione si servì tutta l’età ellenistica, per oltre mezzo millennio, per fissare i quadri del sapere filosofico.
Distinse in tre anche i piani del reale:
1) la realtà che sussiste fuori del cielo, e quindi al di sopra della realtà fisica (la realtà dell’intelligibile),
2) la realtà costituita dai cieli (un misto fra sensibile e di intelligibile),
3) la realtà che è rinchiusa all’interno della sfera del cielo (il sensibile).
A queste tre sfere della realtà corrispondono tre forme conoscitive rispettivamente: 1- la pura conoscenza noetica (da nous, intelligenza, intelletto) scientificamente vera perché ha come oggetto l’intelligibile, 2- la rappresentazione doxastica (da doxa, opinione) che poteva essere vera o falsa in quanto i essendo i cieli realtà ad un tempo intelligibili (per le leggi che li governano) e sensibili (perché si vedono e quindi hanno materia) possono dal luogo all’errore appunto in virtù della mescolanza dei due elementi, 3- la conoscenza sensoriale che è invece empiricamente vera perché la percezione sensoriale come constatazione dell’empirico è sempre vera.
Il mondo non è creato nel tempo, bensì eterno e, dato che Senocrate identificava i numeri matematici alle idee, l’intelligenza suprema, reggitrice dell’universo, l’Intelletto è l’Uno e lo chiama Zeus. La Diade è la madre degli dei, reggitrice delle cose che stanno sotto il cielo, anima dell’universo. Divini erano considerati i pianeti e gli stessi elementi fisici, persino gli animali possedevano un certo senso del divino.
Le anime umane, numeri semoventi, sono incorporee come intelligenze immateriali provenienti dal di fuori del corpo, come immortali, anzi come eterne. Senocrate ritenne addirittura immortale ed eterna non solo la parte razionale dell’anima ma anche quella irrazionale.
Si occupò anche molto di etica contribuendo a fissare la tavola dei valori (evidentemente ispirandosi alle Leggi di Platone), ossia quella tavola rispettando la quale l’uomo vive ed è felice.
Come primo bene egli pose il bene spirituale della virtù, come secondo bene pose le affezioni positive del corpo (come la salute), come terzo bene pose le cose favorevoli esteriori (i beni strumentali).
Come discepolo di Platone intendeva la virtù in modo socratico: “ la virtù vera non è che una purificazione dalle passioni” cosicché “la temperanza, la giustizia, il coraggio e il sapere medesimo non sono altro che una specie di purificazione”. Per raggiungere la felicità è necessario il primo bene. Tuttavia la virtù, se è in grado di dare la felicità, non può darla completamente se mancano i beni inferiori che, se usati in modo retto la possono completare. E a fondamento di questa tavola Senocrate pone la natura, la physis, come già aveva fatto Speusippo e come ancor più accentuatamente faranno Polemone e poi tutti i filosofi dell’età ellenistica. Bloody Ivy testo usato per Senocrate di Calcedone
Giovanni Reale – Storia della Filosofia Greca e Romana – vol 3 Platone e l’Accademia Antica
Tascabili Bompiani altro
Plutarco, il Demone di Socrate. I ritardi della punizione divina
Adelphi