Sensi di colpa.

Creato il 24 novembre 2015 da Gianna
Non ci ho mai creduto più di tanto, ma adesso mi viene davvero voglia di chiudere le orecchie alle parole che escono dalla bocca della classe dirigente di questo paese e non solo. Ma nemmeno sulla carta stampata si può più fare affidamento. Tutte le mattine seguo questo rituale mentre prendo la prima tazza di caffè: mi informo, leggo ascolto...e alla fine mi rendo conto di essere al punto di partenza. Ovvero: la somma delle cose ascoltate e lette, prescindendo dal tono usato dai protagonisti, dalla palese manipolazione del linguaggio e dei dati, dalla reiterazione delle parole fino alla perdita del significato, dall'enfasi strumentale al tema sul quale è opportuno tener desta l'attenzione per tenerlo lontano da altri temi, ecc..ecc.., ha come risultato un asse piallato. Non ne so più di prima, o meglio, sono informata di quello che succede, ma se voglio farmene un'idea devo prendere i dati essenziali, pulirli dagli orpelli della retorica opportunista e cercare di arrivare a quelle verità che non vengono mai dette e che si cerca di tenere nascoste in ogni modo. E' un lavoraccio! E spesso non ho gli strumenti, le mie analisi possono seguire la logica, l'istinto, l'esperienza, ma anche di queste non posso essere sicura fino in fondo. 
E allora? E allora sempre più spesso spengo la porta del cervello dedicata all'ingresso delle informazioni e nell'attesa vana che i vacui protagonisti di questa oscura epoca storica si autoinfliggano pene corporali e spirituali di immane portata, baciati da chissà quale dio sulla fronte, mi dedico un po' ad altro. Leggo, ascolto musica (quando posso perchè, tra l'altro, devo anche lavorare), faccio cene con gli amici e passeggiate col cane. 
Ed è a questo punto che mi sento in colpa. Sì, perchè rinchiudermi nel mio mondo mi sembra una mancanza di partecipazione, un lasciarmi andare ad un'indifferenza che odio e che ho sempre contestato. Poi, come se non bastasse, mi viene il dubbio che anche questo faccia parte di quella famosa manipolazione: spingere a non pensare, a sentirsi sicuri solo nel proprio bozzolo, ad occuparsi di nient'altro che di sè stessi e dei propri interessi.
E allora mi riprendo, mi scrollo di dosso l'apatia, mi dedico un minuto di silenzio per le occasioni perse di pensare autonomamente e di mandare affanculo qualcuno e mi riprometto di non lasciare più che qualche altro neurone si spenga in attesa del caffè.