Più che snebbiarmi il cervello, questa vacanza mi deprime. Qualunque cosa faccio, guardare il mare, contare le auto che passano per la litoranea, spiare il culo delle ragazze, fare il bagno, leggere un libro, ascoltare i discorsi dei vicini d’ombrellone, mangiare, andare in bagno, non riesco a non pensare: “E adesso che torniamo a Milano, che cazzo farò? Come risolverò la situazione?”.
Quando dormo invece, il passato continua ad assalirmi attraverso i sogni. Un passato a volte mai vissuto, di scuola, di quartiere, di persone conosciute e sconosciute. Che sia un modo per rifugiarmi in qualcosa di noto, di conosciuto, rispetto a un futuro incerto e imprevedibile?
Eppure è un passato diverso da quello che ho vissuto, meno rassicurante, a volte più squallido, altre affascinante, fatto di sentimenti forti, belli, coinvolgenti. Una specie di passato alternativo che si srotola da un mondo parallelo, familiare e, al tempo stesso, alieno.
Tutto questo non mi piace. Troppe sono state le esperienze che continuano a ributtarmi indietro negli anni, come i cavalloni di un mare agitato. Ma io voglio andare avanti, sento di avere ancora creatività da esprimere, so che posso dare molto in termini di esperienza e voglio riversare tutto quello che il mio cervello è ancora in grado di pensare e le mie mani di fare, in qualcosa di tangibile, voglio avere la possibilità di vivere con quello che sento dentro e che per tanti anni mi ha consentito di essere apprezzato per ciò che sapevo creare e inventare.
Ora invece mi sento mediocre, come chi non è più in grado di raggiungere i livelli precedenti. Come un pilota che si ostina a correre anche quando non lo vuole più nessuno. Dilaniato dal senso di colpa per essere qui a guardare dalla finestra un mare bellissimo e indifferente, invece di rodermi seduto in un angolo del mio studio in cui non squilla più il telefono e non arrivano più mail.
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