Pubblichiamo di seguito un comunicato stampa del Comitato per la Difesa nei luoghi di lavoro e nel territorio, a commento della condanna in primo grado di 27 ex dirigenti dell'Ilva di Taranto, per la vicenda di 28 operai deceduti a causa dell'esposizione alla fibra d'amianto e di altre sostanze cancerogene.
Gaetano Toro
"" Ilva di Taranto, condannati 27 ex dirigenti per la morte di 28 operai. I lavoratori deceduti per essere stati esposti alle fibre d’amianto e altri cancerogeni
Il giudice monocratico di Taranto, Simone Orazio, ha riconosciuto il nesso di causalità tra il decesso e l’esposizione al pericoloso cancerogeno. I dirigenti Ilva per quasi quarant’anni, hanno costretto i lavoratori a lavorare senza essere avvertiti dei rischi e pericoli e senza dispositivi di protezione individuali e collettivi. I lavoratori dunque hanno inalato le micidiali fibre dell’asbesto, contraendo il mesotelioma pleurico e altri tumori.
La sentenza del tribunale di Taranto ha stabilito il massimo della pena, 9 anni e mezzo, per l'ex direttore dell'Italsider Sergio Noce e pene più alte sono state inflitte anche agli ex manager della vecchia Italsider pubblica (alla quale subentrò poi il gruppo Riva).
Le altre condanne sono state: 9 anni e due mesi ad Attilio Angelini, 9 anni a Giambattista Spallanzani e Girolamo Morsillo, 8 anni e sei mesi a Giovanni Gambardella, Giovanni Gillerio, Massimo Consolini, Aldo Bolognini e Piero Nardi, 8 anni a Giorgio Zappa, Giorgio Benevento e Francesco Chindemi, 7 anni e 10 mesi a Mario Lupo, 7 anni a Renato Cassano, 6 anni a Fabio Riva, Luigi Capogrosso, Nicola Muni e Franco Simeoni, 5 anni a Costantino Savoia, Mario Masini, Lamberto Gabrielli, Tommaso Milanese e Augusto Rocchi, 4 anni a Bruno Fossa, Riccardo Roncan, Alberto Moriconi ed Ettore Salvatore.
Il Tribunale ha poi dichiarato il non doversi procedere nei confronti di Emilio Riva, morto il 30 aprile scorso, mentre suo figlio Fabio Riva e l’ex direttore dello stabilimento di Taranto Luigi Capogrosso sono stati condannati a 6 anni.
Il Tribunale ha anche riconosciuto provvisionali nei confronti delle parti civili: Inail, Fiom Cgil, Uil e i familiari di alcune vittime. Le complicità e il muro di omertà di cui questa fabbrica di morte ha goduto per quarant’anni da parte di governi, Regione, istituzioni, Chiesa, politici e sindacati, è crollata sotto il peso delle mobilitazioni popolari, che hanno pesato anche nelle decisioni della magistratura. A Taranto, come a Casale Monferrato nel processo Eternit, Sesto San Giovanni e altri luoghi ancora, la mobilitazione e la partecipazione diretta di chi non ha delegato a nessuno la lotta hanno pesato positivamente a favore delle vittime. Anche se viviamo in una società divisa in classi in cui il profitto è sempre anteposto alla salute e alla vita umana, la partecipazione proletaria e popolare fa la differenza. Mettendo in campo i rapporti di forza, un briciolo di giustizia, per quanto tardiva, è possibile.
Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio
Sesto San Giovanni 24 maggio 2014
Per contatti: 335.7850799
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