SENTENZA ;Installazione ascensore a cura di un solo condòmino

Da Maurizio Picinali @blogagenzie

CONDOMINIO, INNOVAZIONI, PARTI COMUNI – CONDOMINIO – INNOVAZIONI SU SPAZIO COMUNE – INSTALLAZIONE ASCENSORE SENZA IL CONSENSO DEGLI ALTRI CONDOMINI – AMMISSIBILITA’ – SUSSISTENZA – CONDIZIONINel caso in cui un solo condomino sostenga le spese di una innovazione (come nel caso della installazione di un impianto di ascensore) su parte di uno spazio comune al di fuori del deliberato assembleare, e quindi delle maggioranze prescritte dall’art. 1136 c.c. in riferimento all’art. 1120 c.c., deve essere data applicazione al principio di cui all’art. 1102 c.c. in base al quale ciascun partecipante può servirsi della cosa comune a condizione che non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri di farne uguale uso secondo il loro diritto. Seguendo detta prospettazione, il condomino ha facoltà di fare installare nella tromba delle scale a propria cura e spese un ascensore, ponendolo a disposizione degli altri condomini, sempre salva la necessità di verificare che la cosa comune non sia resa inservibile all’uso o al godimento degli altri condomini.
A SEGUIRE SI PUBBLICA SENTENZA COMPLETA by Picinali
Corte d’Appello Roma, Sezione 4 civile - Sentenza 9 novembre 2012, n. 5582

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE D’APPELLO DI ROMA
QUARTA SEZIONE CIVILE
La Corte composta dai signori magistrati:
dott. Riccardo Redivo – Presidente -
dott. Elisabetta Mariani – Consigliere rel. est. -
dott. Franco Petrolati – Consigliere -
ha pronunziato la seguente
SENTENZA
nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 3213 del Ruolo Generale degli affari contenziosi dell’anno 2007 posta in decisione all’udienza collegiale del 30 novembre 2011, vertente
Tra
De.Gi.
rappresentato e difeso giusta procura in atti dall’avv. It.Pe., elettivamente domiciliato nel suo studio in Roma, via (…)
parte appellante
E
Si.Pa. e Si.Lo.
rappresentate e difese giusta procura in atti dall’avv. An.Cu., con lui elettivamente domiciliate nello studio dell’avv. Fu.Za. in Roma, via (…)
Ca.Mi.
rappresentata e difesa giusta procura in atti dall’avv. Pi.Fe., elettivamente domiciliata nel suo studio in Roma, via (…)
parti appellate
Oggetto: appello avverso la sentenza del giudice monocratico civile del Tribunale di Frosinone n. 141 in data 2.3/30.5.2007.
FATTO E DIRITTO
Con la sentenza di cui all’oggetto, pronunciata nei giudizi riuniti instaurati dalla sig.ra Mi.Ca. e dalle sigg.re Si. (quali proprietarie di appartamenti siti nello stabile di via (…) in Frosinone) nei confronti del sig. De. (a sua volta proprietario di altre unità nel medesimo immobile), onde ottenere l’accertamento della illegittimità di alcune opere che assumevano realizzate dal convenuto su area comune, accolte in via cautelare le richieste delle parti attrici in via possessoria, aventi ad oggetto la cessazione di turbative e molestie volte ad impedire loro l’accesso e il transito sull’ingresso – cortile in oggetto, nel merito, in via definitiva, sono state emesse le seguenti statuizioni:
a) condannato il convenuto a ripristinare lo stato dei luoghi, rimuovendo ogni opera o manufatto ivi realizzati in violazione dello spazio comune;
b) dichiarato che tutte le parti in giudizio sono comproprietarie pro – indiviso delle parti condominiali oggetto di controversia (ingresso di via (…) e cortile), e dichiarato inefficace nei loro confronti l’atto rogito Not. Pi. Rep. 21317 del 6.5.1993 nella parte in cui era stata prevista la cessione in via esclusiva ed integrale al De. dell’ingresso e del cortile in questione;
c) dichiarata inammissibile la domanda delle Si. di emissione di ordine al Conservatore dei Registri immobiliari di trascrivere la sentenza;
d) dichiarata inammissibile la domanda di risarcimento fisico ed esistenziale della Ca. avanzata per la prima volta solo in sede di precisazione delle conclusioni;
e) respinta nel resto la domanda risarcitoria della stessa attrice;
f) condannato il convenuto al pagamento delle spese processuali e a sostenere quelle di ctu.
Con atto di citazione tempestivamente notificato ha proposto appello avverso la suddetta decisione l’originario convenuto soccombente, dolendosi della valutazione del quadro probatorio e della ricostruzione in fatto e in diritto. Ne ha chiesto la riforma con rigetto delle pretese delle sigg.re Ca. e Si., instando preliminarmente per la sospensione della esecutività della sentenza impugnata.
Si sono costituite le appellate come sopra indicate, contestando i motivi di gravame e chiedendone il rigetto.
Accolta in via cautelativa l’istanza di sospensione con ordinanza collegiale del 7.11.2007, la causa è stata trattenuta in decisione all’udienza collegiale del 30 novembre 2011, sulle conclusioni come in tale udienza formulate dalle parti, previa concessione di termini ex art. 190 c.p.c.
Occorre premettere, sotto il profilo metodologico, che la sede del riesame è destinata, esclusivamente, alla verifica delle valutazioni compiute, in fatto e in diritto, all’esito del giudizio di primo grado, ma senza che sia consentito l’allargamento a profili che non siano stati specificamente e dettagliatamente sottoposti al giudice di primo grado e che questi abbia omesso di vagliare, o sui quali abbia espresso un giudizio erroneo.
Deve esattamente individuarsi il tema devoluto sul quale può svolgersi il riesame.
In mancanza di impugnazioni in via incidentale, sono ormai definitive le statuizioni sub c), d) ed e).
Il riesame va svolto sulla questione fondamentale posta dalle attrici in primo grado, la legittimità o meno delle opere eseguite dal De. alla luce della appartenenza comune e non esclusiva dell’ingresso allo stabile da via (…) e del cortile con spazio aereo sovrastante.
Per meglio comprendere i termini dei temi dibattuti, è opportuno riportare il percorso argomentativo della sentenza, sin d’ora anticipando che, ad avviso della Corte, il giudizio va condiviso quanto alla accertata comproprietà di quegli elementi e spazi e alla rimozione delle opere che ne hanno determinato la sostanziale chiusura e la creazione di pianerottoli più ampi per ogni piano (ancorché con la creazione di aperture verso l’esterno), ma che va rivisto riguardo alla rimozione dell’impianto dell’ascensore e dei suoi componenti accessori.
Dal primo giudice è stata anzitutto ricostruita la vicenda sotto il profilo dei titoli negoziali.
Le attrici Si. e Ca. acquistarono le unità immobiliari poste al secondo piano in proprietà esclusiva nel 1992 (rispettivamente: sub 3, con rogito Not. Pi. Rep. 19242 del 6 novembre; sub 4, con rogito stesso Notaio Rep. 20008/3215 del 28 dicembre), “con tutti i diritti, azioni, ragioni, annessi, connessi, dipendenze, pertinenze, accessori, usi, servitù attive e passive, apparenti e non apparenti, nonché con tutte le parti, spazi, ed impianti comuni quali risultano dalle vigenti norme sul condominio degli edifici”.
Il De. acquistò successivamente, con rogito Not. Pi. Rep. 21317 del 6.5.1993, gli altri appartamenti dello stabile, precisamente al piano terra, al primo e al terzo piano. Nell’atto venne specificato che l’appartamento al piano terra, veniva venduto unitamente ad “ingresso, cortile, e giardino di circa mq. 200 (metri quadri duecento) esclusivi di pertinenza”.
Tutti gli appartamenti oggetto delle citate compravendite risultavano in precedenza essere di proprietà indivisa delle sigg.re Br., Lu. e Te.Mi.
In punto di fatto, ha ritenuto il primo giudice non contestato, e risultante dallo stato dei luoghi, che il De. avesse costruito l’opera oggetto di causa sull’area destinata a cortile compresa tra l’ingresso tra via (…) ed il vano scala che collega i vari piani dell’edificio e che, all’altezza del primo piano, raggiunge l’ingresso – posto a dislivello – da via (…) (come si constata dai grafici in Sezione allegati alla ctu). In particolare sono stati accertati i seguenti interventi: – chiusura del corpo scala, con creazione, in aderenza alla stessa scala, di una piattaforma di distribuzione in cemento armato insistente sulla parte dell’area che dà su via (…), dove è stato installato un vano ascensore (non ancora definitivamente realizzato al momento delle verifiche del ctu, essendovi solo la struttura portante in cemento armato).
Tale essendo il contesto giuridico e fattuale, si è osservato nella sentenza impugnata come non possa dubitarsi della riconducibilità dell’area sulla quale incide l’opera alle parti comuni, ciò ai sensi di quanto previsto dall’art. 1117 c.c., che pone una presunzione di comunione per “….. i portoni di ingresso., i cortili e in genere tutte le parti dell’edificio necessarie all’uso comune ….” ove non risulti un titolo contrario, a tal fine dovendo riferirsi, secondo l’orientamento consolidato della Suprema Corte (Cass. 11877/2002, Cass. 18758/2004), all’atto costitutivo del Condominio (che avviene ipso iure con il frazionamento dell’edificio, Cass. 3257/2004), dunque al primo degli atti di trasferimento, da parte dell’originario unico proprietario pro indiviso ad altro soggetto, di una delle unità immobiliari in proprietà esclusiva, dal quale possano evincersi in termini non equivoci elementi rivelatori della esclusione della condominialità in relazione al cortile.
Se, pertanto, all’atto della prima vendita di una parte dell’immobile, uno dei beni potenzialmente comuni in base alla presunzione di legge sia attribuito al Condominio, qualsiasi atto di trasferimento successivo che ne disponga in termini di esclusività appare privo di efficacia, ancorché il singolo condomino ne usi in modo prevalente o comunque più intenso (Cass. 6359/2002). Ed è quanto si era verificato nel caso in esame, essendosi fatto riferimento formale, nei due primi atti
di vendita (Si. e Ca.), alla acquisizione in proprietà comune di tutte le parti destinate all’uso indifferenziato dei condomini ed espressamente ad “ingressi” e “cortili”, trovando le previsioni negoziali riscontro fattuale nello stato dei luoghi e nella evidente destinazione di quelle parti alle esigenze e alla utilizzazione comune, avvalorata dalla circostanza che sia anagraficamente sia all’esito della prova testimoniale fosse emerso che per i singoli appartamenti l’indirizzo era appunto quello di via (…). L’ingresso da via Belvedere aveva funzione meramente secondaria, per la sua collocazione e per la sua fruizione (non potendo essere aperto dall’esterno).
Da tutte le considerazioni svolte discendeva, ad avviso del primo giudice, che non poteva dubitarsi della appartenenza alla comunione di quelle parti dello stabile e della inefficacia dell’atto successivo di disposizione in favore del De. in data 6.5.1993, quale res inter alios acta, oltre tutto neppure trascritto in data antecedente a quella in cui vennero trascritti i primi due atti di vendita.
L’opera realizzata è stata ritenuta quindi illegittima sia per aver occupato parte della proprietà comune incluso lo spazio aereo sovrastante cui quel titolo si estende (Cass. 2027/1994) sia perché integrante un uso esorbitante della cosa comune rispetto a quanto previsto e consentito dall’art. 1102 c.c., riducendo in modo sensibile la quantità di spazio, aria e luce precedentemente fruite dai condomini.
E’ stato poi escluso che potesse configurarsi un consenso dei condomini alla esecuzione di quel genere di opera e di interventi, non emergendo dalla documentazione (in particolare dal preventivo della Ef.), o dalle prove testimoniali, una manifestazione di volontà univoca in quella direzione.
Infine, nel rispondere alla tesi del De. che invocava, quanto alla installazione dell’ascensore, la normativa di cui alla legge 13/1989 sul superamento delle barriere architettoniche, è stato osservato che l’art. 2 della legge prescrive come quel genere di innovazione sia approvata dalla assemblea con la maggioranza ridotta di cui all’art. 1136 2 e 3 comma c.c. (in deroga al primo comma dell’art. 1120 c.c. in riferimento al 5 comma dell’art. 1136 c.c.), ma che nessuna assemblea era stata a tal fine convocata né aveva deliberato sul punto. La possibilità di una installazione unilaterale sarebbe consentita, sempre nel rispetto di talune condizioni, soltanto in presenza di soggetti portatori di handicap. E poiché l’opera era stata realizzata a distanza inferiore a quella prescritta dall’art. 907 c.c. rispetto alle finestre del bagno e della cucina dell’appartamento Ca. (circostanza non contestata dal De.), non potrebbe neppure operare la previsione di cui all’art. 3 legge 13/1989 che deroga alla normativa sulle distanze imposte dai regolamenti edilizi (salvo pur sempre l’obbligo del rispetto di quelle di cui agli artt. 873 e 907 c.c.), dettata per la sola ipotesi (estranea a quella di specie) in cui tra le opere da realizzare e i fabbricati alieni non sia interposto alcuno spazio o alcuna area di proprietà comune. D’altra parte, la mancata approvazione della innovazione non avrebbe fatto venir meno il precetto generale di cui all’art. 1120 2 comma c.c., nella parte in cui vieta qualsiasi mutamento che renda talune parti comuni inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino. La realizzazione della contestata opera in muratura a breve distanza dagli affacci della cucina e del bagno dell’appartamento Ca. aveva determinato senza dubbio una notevole diminuzione di luminosità ed irraggiamento solare nonché di aereazione e provocato ristagno di odori all’interno del vano scale, avendo eliminato un pianerottolo aperto e sostituendolo con uno spazio pressocchè chiuso, inconvenienti non adeguatamente compensati con la realizzazione di aperture, poi chiuse in vetrocemento, nella facciata prospiciente via Belvedere, e tali conseguenze sarebbero apparse illegittime anche se fossero stati rispettai pienamente i precetti di cui alla legge 13/1989.
L’appellante formula censure in rito e nel merito.
Quanto a quelle di rito, si duole della mancata ammissione delle prove testimoniali che aveva articolato e, producendo una et di parte, insiste per il rinnovo della ctu.
Nessuna di tali istanze può avere ingresso in questa sede: – la prima per la genericità dell’assunto a fronte di una motivata ordinanza istruttoria emessa in primo grado della quale non si riporta neanche il contenuto, e della non reiterazione della richiesta di prova in sede di precisazione delle conclusioni; – la seconda per l’assorbente rilievo che in primo grado le operazioni peritali si sono svolte nel pieno contraddittorio, garantendo a tutte le parti, per mezzo dei propri et di fiducia, di partecipare e fare osservazioni, tant’è che il ctu ha depositato anche un supplemento, e per la considerazione che un approfondimento di carattere tecnico si impone solo in presenza di gravi lacune o di errori che è onere della parte la quale contesti la ctu di allegare in termini specifici e idonei, tali da evidenziare la necessità o l’opportunità di acquisizione di ulteriori dati tecnici.
Nel merito, deve disattendersi il rilievo che dagli atti emergerebbe un assetto dei luoghi diverso da quello descritto sia in sede testimoniale che in sede di accertamento peritale, che ha condotto alla valutazione anche in punto di fatto della destinazione ad uso comune dell’ingresso da via (…) e del cortile nel quale è collocata la scala di accesso ai piani superiori. Nessun convincente elemento fa pensare che l’ingresso principale comune fosse quello di via (…). Da tutte le risultanze processuali (anche quelle del procedimento possessorio promosso in corso di causa) quell’accesso è stato richiamato come secondario, tenuto conto, per un verso. dell’indirizzo delle unità immobiliari compravendute indicato negli atti notarili in via (…), della natura di tale strada all’interno della toponomastica comunale, della stessa conformazione dei due accessi al fabbricato (posto a dislivello tra le due strade), che evidenzia il carattere secondario di quello al di sopra, sia per essere la via Belvedere più piccola, sia per la circostanza pacifica che non poteva accedersi dall’esterno (a nulla rilevando eventuali successive modifiche), sia per quanto accertato dal ctu (pag. 6 prima relazione) sul fatto che in tutti gli accatastamenti presentati l’indirizzo al fabbricato è sempre stato indicato da via (…).
Vanno disattese le censure svolte alle pagg. 8 – 15 dell’atto di appello, in quanto inidonee ad indurre perplessità sulla correttezza della ricostruzione in termini negoziali della fattispecie. Non è attinta da precise contestazioni la rigorosa e attenta verifica sotto il profilo cronologico e contenutistico dei rogiti notarili di trasferimento di tutte le parti in causa, né contestata la anteriorità della trascrizione dei titoli di proprietà delle parti attrici in primo grado. Da tali titoli non emerge alcuna esclusione di parti che l’art. 1117 c.c. indica come comuni, quali cortili o ingressi, essendovi un espresso riferimento alle parti, agli spazi e agli impianti comuni “quali risultano dalle vigenti norme sul condominio degli edifici”. E’ corretto pertanto aver accertato la strumentalità al servizio dell’intero stabile sia dei due ingressi sia del cortile (destinato sia ad ospitare il vano scale che a dare aria e luce alle scale e agli stessi appartamenti che sui pianerottoli delle scale hanno degli affacci). Tale fruibilità originariamente indifferenziata e tale destinazione si evincono in modo chiaro dai grafici allegati alla ctu che attestano lo stato anteriore alle opere eseguite dal De. Ne consegue che va data applicazione al principio secondo il quale “al fine di stabilire se sussista un titolo contrario alla presunzione di comunione di cui all’art. 1117 c.c. occorre fare riferimento all’atto costitutivo del condominio, e, quindi, al primo atto di trasferimento di una unità immobiliare dall’originario proprietario ad altro soggetto” (Cass. 11812/2011, Cass. 6175/2009, Cass. 27145/2007, oltre a quelle già citate nella sentenza impugnata).
Non emerge documentalmente alcun consenso delle altre condomine alla esecuzione delle opere così come poi realizzate dal De., né può qui avere rilievo che vi siano state trattative e contatti volti a trovare accordi. Nel sottolineare come sia sufficiente l’opposizione anche di uno solo dei condomini perché l’occupazione di parti comuni venga sanzionata con il ripristino, l’odierno appellante non ha offerto riscontri rigorosi su una manifestazione di volontà univoca da parte di tutte le attrici – né espressa né ricavabile da comportamenti concludenti – di accettazione della modificazione radicale dello stato dei luoghi. I documenti richiamati, oltre tutto senza indicarne la numerazione nell’indice né esplicitarne nell’atto di gravame il contenuto (così chiedendo al giudice del riesame un inammissibile indagine ad explorandum) non danno conto di pagamenti di quote che riguardino tutti gli interventi posti in essere. Né prova alcunché in tale direzione il verbale di assemblea del 7.2.1996.
In definitiva, ritiene la Corte che vada confermato il giudizio espresso sulla inefficacia del titolo di acquisto del De. nella parte in cui risultano a lui trasferiti in via esclusiva l’ingresso da via (…) ed il cortile, nonché quello sulla illegittimità della chiusura dello spazio anche aereo sovrastante il cortile, stante la appartenenza comune a tutti i condomini della colonna d’aria (che rappresenta la proiezione verso l’altro dell’area sottostante), come affermato da costante orientamento giurisprudenziale (oltre a quella citata nella sentenza di primo grado, v. Cass. 3098/2005, Cass. 23612/2006). La chiusura ed incorporazione di quello spazio aereo con la creazione di pianerottoli molto più ampi rispetto a quelli prima esistenti – dai quali i condomini potevano prima affacciarsi sull’area cortile – indipendentemente dalla successiva creazione, verso la parte esterna, di colonne aperte che consentono il passaggio dell’aria, altera in modo sensibile e significativo la originaria destinazione di quel bene, e porta a confermare la statuizione che ha ordinato la rimozione e il ripristino dello stato dei luoghi. Non può assumere poi alcuna rilevanza in sede civilistica, stante la differenziazione degli ambiti di valutazione e decisione, l’esito favorevole della vicenda penale (risoltasi con sentenza di non luogo a procedere perché il fatto non sussiste) che ha visto l’odierno appellante ed altri (un tecnico comunale e il responsabile dell’ufficio condoni del medesimo comune di Frosinone) originariamente imputati in concorso per reati connessi al rilascio di autorizzazioni relative agli interventi edilizi in oggetto.
A diversa soluzione può pervenirsi, in riforma della sentenza, quanto alla installazione dell’ascensore, non in base al richiamo alla normativa sulle distanze (che in materia di condominio degli edifici comporta l’accertamento della loro compatibilità con la disciplina relativa alle cose comuni, che prevale sulle prime, dovendo verificarsi che sia rispettato l’art. 1102cc: Cass. 22838/2005, Cass. 6546/2010) o a quella di cui alla legge n. 13/1989 sul superamento delle barriere architettoniche, bensì tenendo conto dell’orientamento consolidato secondo il quale laddove un solo condomino sostenga le spese di una innovazione (come nel caso della installazione di un impianto di ascensore) su parte di uno spazio comune al di fuori del deliberato assembleare, e quindi delle maggioranze prescritte dall’art. 1136 c.c. in riferimento all’art. 1120 c.c., debba essere data applicazione al principio di cui all’art. 1102 c.c. In base a tale disposizione ciascun partecipante può servirsi della cosa comune a condizione che non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri di farne uguale uso secondo il loro diritto. Seguendo detta prospettazione, il condomino ha facoltà di fare installare nella tromba delle scale a propria cura e spese un ascensore, ponendolo a disposizione degli altri condomini (Cass. 3508/1999, Cass. 9033/2001, Cass. 24006/2004, Cass. 25872/2010).
Poiché, stando alle planimetrie e ai grafici, la installazione dell’impianto comporta la occupazione di uno spazio in proporzione non prevalente rispetto all’intero cortile, laterale al corpo scale, con occupazione della corrispondente colonna d’aria ma senza invasione del passaggio sull’area cortilizia che dovrà tornare aperta e libera, e senza compromissione evidente né degli affacci né dell’aria e della luce per gli appartamenti che su quella parte hanno finestre, la Corte ritiene che si realizzino le condizioni di compatibilità di cui alla citata giurisprudenza di legittimità (v. altresì Cass. 298920/2011 sulla necessità di verificare che la cosa comune non sia resa inservibile all’uso o al godimento degli altri condomini).
Quanto ai rilievi dell’appellante sui rischi per la staticità dell’edificio che potrebbe derivare dall’abbattimento delle opere eseguite, è sufficiente osservare come il ripristino dei luoghi, come in questa sede confermato, costituisce unico rimedio alla illegittimità dell’intervento posto in essere (si richiamino le considerazioni non censurate svolte a pag. 17 della sentenza impugnata sulla non operatività nella specie dell’art. 2058 c.c. sul risarcimento per equivalente). Eventuali problematiche tecniche nella attuazione del dictum della sentenza vanno risolte in sede esecutiva, e sono estranee alla fase del gravame.
Ogni altro profilo resta assorbito da tutte le argomentazioni svolte.
Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo tenendo conto delle notule prodotte dalle parti appellate, seguono la soccombenza con l’attenuazione di cui all’art. 92 2 comma c.p.c., stante l’esito della lite con il parziale rigetto delle pretese originarie, e vanno quindi riconosciute in favore delle attrici odierne appellate nella misura della metà; nel residuo, vanno compensate.
P.Q.M.
La Corte, definitivamente pronunciando sull’appello avverso la sentenza del giudice monocratico civile del Tribunale di Frosinone n. 141 in data 2.3/30.5.2007, riformandola in parte relativamente al capo 1, esclude dalla condanna del De. al ripristino dello stato dei luoghi l’impianto dell’ascensore con componenti ed apparecchiature accessorie. Conferma nel resto le statuizioni di merito. Condanna l’appellante a rifondere in favore delle appellate Ca. e Si. le spese del doppio grado nella misura della metà, liquidate per l’intero, quanto al primo grado, come nella sentenza impugnata (capo 6); quanto a questo grado, liquidate in favore della Ca. in Euro 250,00 per spese, Euro 1.708,00 per diritti e Euro 4.400,00 per onorari, oltre spese generali, Iva e Cp; in favore delle Si. in Euro 510,00 per spese, Euro 2.306,00 per diritti e Euro 6.000,00 per onorari, oltre spese generali, Iva e Cp. Le compensa per la metà. Conferma la decisione di primo grado sulle spese di ctu.
Così deciso in Roma il 16 luglio 2012.
Depositata in Cancelleria il 9 novembre 2012.


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