Molto suggestivo come parta da Luca 1, (39-44), brano in cui è possibile leggere che il piccolo Giovanni sobbalza in grembo a Elisabetta non appena sente il saluto di Maria alla cugina. I primi studi sulle capacità uditive del feto, a fine Ottocento avevano dato esiti contrastanti, ma già le ricerche di poco successive confermarono la presenza di reazioni fetali in presenza di suoni. La Kisilevsky iniziò ad occuparsi dell’argomento solo agli inizi degli anni Ottanta del secolo scorso, con l’unico obiettivo di comprendere se il feto fosse in grado di udire e da quando, senza alcun condizionamento politico o religioso.
Nei suoi primi esperimenti veniva prodotto un forte suono, simile al rumore statico della radio, dietro la testa del feto, il quale provocava un aumento della frequenza cardiaca e dei movimenti del neonato. Vennero poi fatte diverse prove modificando l’intensità dei suoni e il risultato fu sempre che un’esposizione, anche di breve durata, a suoni forti provocava l’aumento della frequenza cardiaca e dei movimento del feto. Questo indicava in maniera inequivocabile che il feto era in grado di udire.
Il passo successivo fu quello di capire quando compariva per la prima volta la facoltà uditiva. Venne così ripetuto l’esperimento con feti sempre più giovani, questo permise di collocare l’inizio della facoltà uditiva a circa 29 settimane e stimare lo sviluppo dell’apparato uditivo tra la ventiseiesima e la ventottesima settimana (verso la ventinovesima settimana si ha la trasmissione rapida dei segnali uditivi dall’orecchio al tronco cerebrale). La capacità di sentire i suoni permette al feto di adattare e affinare i tratti neurali del cervello ed è interessante sottolineare come i suoni siano percepibili sia dall’interno (il battito cardiaco della madre, ad esempio) che dall’esterno dell’utero. Per approfondire la questione si consiglia la lettura del libro: “Sento dunque sono. Sensi e sensazioni del feto” (Cantagalli 2011).
Davide Galati