Un quadro, che magari da dieci anni sta lì appeso a un salotto scialbo, a un certo punto cade. Il tizio della storia si interroga sui motivi che portano a questo cedimento, a tutto quello che ha concorso in maniera invisibile, giorno dopo giorno, a far sì che il chiodo molli la presa. Proprio in quel momento.
No, io non mi pongo domande. Mi limito a constatare che quel momento è ora.
Mi metto le mani sul petto e mimo un seno. Al tavolo davanti a me, seduti, ci sono ManuMonica, PierElena, AleRosy e mia moglie Roberta che osservano ogni movimento e iniziano a scalpitare.
«Tette!»
«Polmoni, polmoni… fumare?»
Io faccio di no con la testa e guardo Elena, i suoi capelli d’oro e d’argento.
«Reggiseno?» Accenno un sorriso, ManuMonica sono sempre i migliori in queste serate. Ma siamo ancora lontani.
Mi metto a sculettare mandando bacini.
«Hahaha, prostituta.» AleRosy, sono rimasti all’abc dell’umorismo.
«Burlesque!»
Continuo a scuotere la testa. Guardo i rimasugli del dolce, sul tavolo. I posaceneri pieni a metà. I telefoni che occhieggiano a led e i bicchierini da amaro tutti ambrati da un lato. Le giacche firmate nell’ingresso; Dio, quanto vorrei uscire a fumare, invece di continuare a fare il pagliaccio.
«Donna!» Roberta, ovvio. Un carro armato di lucidità. Devo averla sposata anche per questo, ricordo.
Le mando uno sguardo d’intesa e faccio ok con la mano. Indico agli altri che sono tre parole e cerco un modo di proseguire.
I miei occhi incontrano quelli di Elena, mentre il chiodo che tiene appeso il mio cuore cede del tutto.
Dai, Ele, davvero non hai ancora capito? Devo prenderti le mani e portarti fino alle porte della notte? Era la nostra preferita…
Faccio finta di imbracciare un fucile e sparare.
«Soldato!» Roberta, non paga di averne già presa una; ma no, non va bene.
«Fucile… la soldatessa!» AleRosy falliscono miseramente, e io continuo a sparare. Nella tua direzione, Elena.
Una scintilla appare nei tuoi occhi, forse hai capito. Anche senza dire parole, in che altro modo potrei fare, d’altra parte? Arriva un momento dove tutto scivola, ogni cosa diventa finalmente chiara, come se improvvisamente la vista fosse di quindici decimi. In quell’attimo mica si può aspettare, bisogna buttarsi, improvvisare.
Ma ti vedo anche un po’ preoccupata. Dici che gli altri lo scopriranno? Sì, Roberta lo sa che siamo stati insieme, dieci anni fa. Lo sanno anche AleRosy… e Manu. Monica no, è troppo recente. Insomma, lo sanno tutti, ma non lo collegheranno mai al tatuaggio che ti ho regalato allora.
«Guerra delle donne!» Piero, tuo marito, non si è neanche accorto di noi.
Smetto con il fucile e faccio finta di imbracciare un attrezzo molto più grande.
«La sfinge! Cleopatra?»
«Ma che ti viene in mente, Mony?»
Faccio un movimento brusco, come un rinculo, e mi tappo le orecchie.
Elena, dicevo, tu veramente pensi di poterti accontentare di queste cenette snob? Che possiamo stare al sicuro in mezzo alle villette a schiera e ai vialetti curati, la domenica? Alle chiacchiere maligne e superbe che non costruiscono mai niente? Non è qualcosa di più, la vita?
«Donna, donna…»
Li guardo tutti, ormai ci sono.
Faccio finta di accendere una miccia, mi torno a tappare le orecchie e ti guardo.
Hai capito, vero? Ma cosa fai, hai gli occhi lucidi?
«Cannone… cannone?» ManuMonica balbettano insieme.
Inizio a sorridere, ma subito due o tre voci mi sommergono.
«La donna cannone! Sì? Sììììì…» Rosy ha indovinato, è al settimo cielo.
Che enorme mistero, l’amore. Scusa, Elena, se il mio te lo butto addosso così, senza grazia e fuori tempo massimo. Non so cosa mi è preso, ma non posso più far finta di niente. Tutte le volte ti vedo lì, in carne ed ossa, e non riesco a dirti mai niente, perché son cose che non si fanno. La verità è che sei l’unico posto dove voglio stare.
I battiti di mano si stanno smorzando, così come i gridolini isterici. Alcuni sguardi attoniti iniziano a incrociarsi fra il mio e il tuo, che rimane fermo, intenso. I bicchieri riprendono a tintinnare, Roberta si schiarisce la voce, si alza il fumo di una sigaretta.
Allora, Elena, andiamo, voliamo via?
Senza ali e senza rete.
Come dice il tatuaggio che ti ho regalato.
Il racconto che avete letto è opera di Jonfen ed è risultato uno dei migliori del Lab di marzo 2015.
La traccia del Lab era stata scelta da Bee (vincitrice dello scorso Lab) ed era la seguente:
Scrivere una storia in cui un personaggio (o più personaggi) doveva assolutamente far arrivare un’informazione a qualcuno. L’informazione in questione era importante, e doveva arrivare a ogni costo al destinatario (o ai destinatari).
Ma – e qui veniva la parte divertente – il personaggio che doveva far arrivare questa informazione… non poteva parlare!
I racconti dovevano essere lunghi al massimo 6000 caratteri spazi inclusi (con un margine di tolleranza di 200).
jonfen
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