Dedicato a Nicole V. (nome quasi di fantasia)
Pomeriggi interi sedute sul muretto a parlare, serate trascorse a camminare nelle strade buie intorno al paese, quelle dimenticate, quelle di periferia dove quasi nessun altro passava. Discussioni infinite, confidenze, attese. Risate colpevoli o complici, l’allegria, lo sconforto, la paura.
Diciassette anni, più o meno: la forma soltanto apparente, la materia ancora quella dei sogni. I problemi, grandissimi: il padre che non lasciava uscire, il ragazzo – l’unico, il solo – che preferiva quell’altra. L’interrogazione andata male, il timore reverenziale per i professori…
Pomeriggi interi a progettare la domenica successiva: dove andare cosa fare quale abito indossare. Interi pomeriggi a ricordare la domenica appena passata.
Senza saperlo eri felice: la vita non era ancora cominciata.
Diciassette anni, più o meno: i primi amori, le scoperte; una forma soltanto apparente cambiata poi innumerevoli volte; la materia, sempre quella dei sogni. La vita, dopo, sarebbe cominciata.
E la festa più bella era Pasquetta: la ricerca del prato dove fare il merendino, comprare quintali di pane, tre mezze dozzine di uova sode fanno poi diciotto: non è molto, prepariamone ancora… Le colombe, le uova di cioccolato: – Meglio ne porti ancora una pure io, non vorrei mancassero!
I panini con il salame, quelli con la frittata, le tovaglie e i tovaglioli. Le formiche che correvano a banchettare, qualche vespa attirata dall’afrore della cocacola, le foglie secche, l’erba verde presagio di stagione nuova. La pioggia, immancabile a Pasquetta, occasione per correre in macchina e stringersi tutti insieme nel sedile posteriore. Le cassette – quelle con il nastro che si attorcigliava sempre – a tutto volume.
La chitarra.
Chi era quel Daniel, quello di Elton John, quello che partiva?
E gli amici, tutti gli altri: ora sono uomini e donne quasi vecchi, con figli ormai grandi. Qualcuno è già tre volte nonno, qualcun altro non ti riconosce se ti incontra per la strada. Forse sei cambiata troppo tu, forse è un altro, lui
Si partiva il lunedì al mattino e la domenica di Pasqua con la Messa era già dimenticata: – Presto, svelti, non possiamo tardare!
Le auto erano quelle prestate a malincuore dai padri: la millecento, una seicento, la cinquecento blu di Beppe dove ci si stipava in sei con la paura della polizia. Ma erano strade di campagna, alla ricerca di un prato nascosto per apparecchiare, mangiare qualcosa e nel pomeriggio giocare a pallone, passeggiare, fare notte fonda. Verso sera c’era l’appartarsi, il cercare l’ombra, lo stringersi per il freddo intorno ad un fuoco.
Senza saperlo eri felice: l’hai capito oggi, lunedì di Pasqua duemilaquindici, mentre fai la spesa nell’unico supermercato aperto e ti fermi all’ improvviso davanti ad una tovaglia a quadretti con sopra un cesto di uova sode.
Ricordo una stagione
Ricordo una stagione in mezzo a colli immensi, affaticata dal soffiare della notturna tramontana. Un gelso gemeva negli strappi, così alto che talora il suo grido mi svegliava. Ieri nel ritornarvi non sembrava passato altro che un giorno. La tramontana ci infuriava intorno. Contro il cancello, intatta, era restata una mia antica rosa morsicata.
Maria Luisa Spaziani
Ieri sei tornata, ma non c’era più il muretto, non c’erano più ragazze sedute a parlare e tu sei troppo pigra per telefonare: gli studi, la casa, il lavoro, due figlie e gli accidenti quotidiani; la Sicilia è un altro mondo, il passato è un’altra vita. La forma adesso si è irrigidita, la materia è scabra e dura. Se la colpisci, rimbalza.
Però, senza saperlo eri felice.
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