Quante parole nei tardi pomeriggi in via Amendola. Avanti si va, ma piano mentre il tempo -vigliacco- corre veloce, del resto, protagonisti. comparse o spettatori, non si torna indietro e la nostra impertinenza, che brilla come il vetro colorato della cattedrale di Chartres, aiuta a smarrirci. Destra o sinistra, ad ognuno la sua parte in commedia, ma il limes è stretto, gli sconfinamenti tanti, anche perché -almeno qui in via Amendola- nessuno li presidia.
No, non solo di politica si discute; tutto è opinabile.
Eppoi c'è lui, un mito, il Fausto Maria Pico: filosofo, poeta, amico.
Molte chiacchiere, niente eloquenza; un fluido lo circonda. Per come lo conosco, e lo conosco da una vita, il nocciolo dell'identità di Fausto è nella poesia ancora da scrivere come nella donna ancora da conquistare. Sicuro di se, e di mamma filosofia, in politica rimane vittima del complesso dei migliori, per il resto è anche curioso e selvatico quel tanto che basta a farlo poeta. Poeta vero, che scivola invisibile fra i vivi di questo mondo. Autoironico e graffiante, travolge tutti, e tutti restano travolti dalla sua straordinaria capacità dell'essere contemporaneamente un libro stampato, l'accanito difensore della sua parte politica, un tarantolato che canta e balla al suono di una chitarra.
La sua ultima poesia, senza titolo, parla di biciclette accarezzate dalla pioggia, una pioggia che racconta storie mai udite portate dalle nuvole del nord.
Eccone il testo, anche nella versione scritta a mano:
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