Seppelliti dal tempo, salvati dall’amore per la bellezza

Creato il 11 maggio 2014 da Lundici @lundici_it

Lawrence Alma – Tadema e i pittori dell’800 Inglese. Una luce nuova anima, in questo periodo, il Chiostro del Bramante, tra le cui sale sarà possibile ammirare (a Roma, fino al 6 Giugno 2014) opere appartenenti al XIX secolo e la cui bellezza riaffiora adesso in tutta la sua sontuosità trasparente e al contempo velata della rigidità dei costumi, tipica dell’epoca. Facendo eccezione per artisti quali Rossetti, Burne- Jones e Millais, i cui nomi risultano familiari, gli spettatori italiani si trovano totalmente spiazzati dinanzi a codesti autori, alla loro maestria nel rappresentare la bellezza aulica della femme fatale, la luminosità dei colori, l’innocenza degli sguardi, la veridicità degli spazi. Vincolati eppure spinti in avanti da una situazione politica, sociale ed economica in perenne mutamento, gli artisti dell’Ottocento godono di una stabilità professionale d’eccellenza, favorita dall’acquisto delle loro opere e dall’inserimento all’interno delle scuole d’arte e della prestigiosa Royal Academy. Questa mostra è di fatto un valzer pazzo ed emozionante nel quale noi cavalieri possiamo chiedere la mano solo alle dame preservate dall’ira del cattivo gusto e dal traffico mercantile; suono docile che esclude l’ante-preraffaellismo e approda presso la nave dorata di un’arte dedita alla bellezza classica, prorompente e statuaria. Arte che rievoca la bellezza di un tempo perduto e predilige il connubio con gli intramontabili versi shakespeariani, con la poesia di Keats e con le leggende arturiane.

Agrippina

Tra tutti gli autori emerge senza dubbio l’opera di Lawrence Alma-Tadema, originario dei Paesi Bassi e attivo a Londra a partire dal 1870. La maggior parte delle sue opere ritraggono scene ispirate ai fatti della storia romana, i quali restano intrisi nella tela in tutta la loro impeccabile perfezione sfumata in colori forti e capaci di vita autonoma, palazzi e paesaggi che non fanno altro che fungere da proseguimento per la realtà; donne popolari, madri di figli e vedove. Alma-Tadema cuce con l’olio e con le setole il dolore e la rabbia di Agrippina (in Agrippina con le ceneri di Germanico, 1866), ricamandone la sua psicologia e traendo spunto dalla descrizione fatta negli Annali di Tacito. Accanto alle ambientazioni romane, non mancheranno ovviamente quelle greche (a partire dal 1868) intente a mettere in rilievo gli aspetti edonistici e le scene tipiche delle sale da pranzo, come la cena, la siesta, etc. Di immane bellezza, poi, le opere incentrate sulle scene d’amore: una monocromia d’avorio e panna nella quale il sentimento emerge dalle pieghe ruvide e leggiadre e da sorrisi timidi di occhi infuocati e dolci.

La crenaia, la ninfa del torrente, Leighton.

Le sue tavole sono un trionfo di volti femminili, i quali emergono da tempi perduti, ereditando il loro blocco di persone, drammi, felicità, colori e usanze. In particolare potremmo dire che le opere di Alma-Tadema sono un’ode devozionale al mondo femminile, in tutte le sue sfaccettature. Sono mogli che soffrono, madri che si rallegrano con i loro figli, amiche adagiate sui divani e intente a parlare, donne sole capaci di viaggiare con un solo sguardo rivolto all’orizzonte, fanciulle che rifuggono dalle promesse d’amore o si incipriano il naso con un mazzolino di fiori. E la tavolozza si adegua sempre ai colori tenui e del gentil sesso, si adagia su quei corpi diafani, avvolti da stoffe stropicciate, contornate da capigliature elegantemente quotidiane, attorniate da sfondi di blu sconfinato, spiate da statue immobili e mobilia di gran gusto.
A incantarci ancora e adornare la passeggiata d’arte concessaci sono le opere di Burne Jones, Godward, Goodall, Hughes, Leighton, Long, Moore, Payne, Poynter, Studwick, Waterhouse, Wontner, che mandano in scena corpi nudi e perfetti, immobilizzati con eleganza e velati di pudore, come il Mosè salvato dalle acque di Goodall, La regina Ester di Long, l’Andromeda di Poynter, la Crenaia, la ninfa del torrente Dargle di Leighton.

Le rose di Eliogabalo, Alma – Tadema.

Ognuno di questi autori è accomunato agli altri da un filo di seta a due code, ingarbugliato e sottile; così da un lato il massimo fattore di fusione si rintraccia nei temi legati alla mitologia, alla storia antica, alla letteratura e alla quotidianità e chiaramente alla particolare concezione della donna (cara alla letteratura inglese) che diviene musa, modella, eroina d’amore e di giustizia, strega, principessa, ma soprattutto viene plasmata secondo una fatalità di fondo che la rende volubile e inesplorabile, icona di salvezza o tentatrice demoniaca. Contrariamente ai loro pensieri, ai loro animi sporchi di perplessità, doveri, angustie, i loro corpi appaiono liberi e scultorei, dominanti ed eterni. Nudità voluttuose, di una castità solo apparente (per essere accettate dal puritanesimo vittoriano).

La regina Ester, Long.

Nomi sconosciuti e difficili da ricordare, cui vengono agganciate immagini paradisiache in grado di toglierci il fiato, ancor più emozionanti se si pensa che Juan Antonio Pérez Simòn le ha acquistate e salvaguardate poiché spinto dall’amore per la bellezza, oltre che dal gusto per l’archeologia e la cultura classica (che lo ha accomunato soprattutto ad Alma- Tadema); un vero e proprio salto nel buio, una scelta che oltrepassa le corsie preferenziali dell’economia e del rigido mercato artistico, cedendo il passo a isole incontaminate e disprezzate, nelle quali il gusto raffinato si comprende a fatica. Così come emergono a fatica quei corpi di immane concretezza, dalla pioggia di rose che si avventa sugli ospiti del crudele ed eccentrico Eliogabalo (in Le rose di Eliogabalo, studio, 1888), le cui immagini vengono estrapolate soprattutto dal romanzo À rebours, di Huysmans (che diventerà la bibbia del movimento decadente). In questa tavola, localizzata alla fine del percorso espositivo e correlata da un intenso profumo di rose, il banchetto si svolge sotto gli auspici della statua del dio Bacco; una ragazza con abito maculato suona, l’imperatore si trova in una posizione di rilievo rispetto agli altri ed è attorniato anche dalle donne (la nonna e la moglie, secondo gli studi effettuati) che giocarono un ruolo essenziale nella sua vita. Secondo l’Historia Augusta non si trattava di rose, ma di “violette e altri fiori”, eppure Alma -Tadema scelse assolutamente questi fiori, proprio perché si fanno portavoce di una bellezza pericolosa, capace di ferire a morte, una bellezza che ci lascia immobili e ci incolla all’immensa tavola, ci sconvolge, ci abbraccia fino a soffocarci, ma ci epura di quel sentimento maligno, ricordandoci che “È difficile restare arrabbiati quando c’è tanta bellezza nel mondo”.


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