[Serie tv] Il recupero della pausa invernale: The Blacklist and The Americans

Da Strawberry @SabyFrag

La pausa invernale è terminata da poco, anzi no. Da natale in poi la programmazione americana si fa schizofrenica e, mentre alcune serie hanno ripreso subito dopo le vacanze di Natale per poi interrompersi dopo due/tre episodi, causa Super Bowl piuttosto che nuove serie iniziate solo ora, altre hanno deciso di fare una lunga pausa fino a marzo. Così, prima che tutto ritorni a regime e prima che mi infogni ancor di più nelle serie nuove iniziate a Gennaio (vi ho già detto di True Detective? Attesissima, attesissima… ma ve ne parlerò prossimamente), ho pensato bene di recuperare due show che mi sembravano meritevoli della mia attenzione. Come è andata? Giudicate voi.

The Blacklist

Parte con un super pilot. Il famigerato criminale Raymon “Red” Reddington, ex agente FBI che più di venti anni fa abbandona lavoro e famiglia per darsi al crimine, conosciuto come “The Concierge of Crime” e ricercato dal FBI da molti anni, decide di arrendersi al Bureau, costituendosi. L’uomo si offre come informatore per permettere agli agenti federali di catturare alcuni tra i più pericolosi criminali al mondo, gente con cui Reddingotn ha lavorato nella sua lunga carriera e che fanno tutti parte di una lista “nera”, la blacklist del titolo appunto. La sua offerta, ovviamente, prevede delle condizioni: Red otterrà l’immunità totale e, cosa fondamentale, i suoi rapporti con il Bureau avverranno solo tramite l’agente Elizabeth Keen, una novellina al suo primo incarico importante. Nessuno sa perché il criminale abbia deciso di costituirsi né quali sono le ragioni che lo spingono a parlare solo ed esclusivamente con l’agente Keen, la quale non conosce Reddington o perlomeno così dichiara, ma gli agenti FBI non possono lasciarsi un’occasione del genere. Inizia così una collaborazione che vedrà la squadra degli agenti in una caccia all’uomo senza precedenti, a cui si aggiungeranno gli affari poco legali di Raymond, la verità che l’uomo nasconde e il misterioso legame esistente tra il criminale e Elizabeth.

James Spader, attore famoso per film come Sesso, bugie e videotape e Stargate, interpreta Raymond Reddington  e lo fa riversando nel personaggio tutta la sua esperienza con personaggi alquanto eccentrici e sopra le righe. Red Reddington è uno dei classici “cattivi che piacciono”: ironico, colto, sarcastico, dotato di un’intelligenza sopra la norma e di un grande savoir faire che gli permette di adattarsi al peggior bar di Caracas come a una convocazione a Buckingham Palace. Naturalmente sa essere anche crudele e spietato con i suoi nemici e con chiunque intralci i suoi piano, ma dimostra degli inaspettati lati di tenerezza e malinconia soprattutto quando si trova a contatto con Elizabeth Keen, l’agente federale scelta da lui per lavorare insieme alla blacklist. Un personaggio dalle mille facce, sfuggente e misterioso, capace di sorprendere il pubblico di episodio in episodio e di guadagnarsi la sua stima e affezione senza che nessuno di noi spettatori se ne accorga. Eh, il fascino del bad guy. Spader ha un carisma enorme, che garantisce al personaggio uno spessore tale da reggere su di se il peso dell’intero show senza mostrare il minimo affanno. La controparte femminile, d’altronde, latita abbastanza: Megan Boone, l’attrice che veste i panni di Elizabeth Keen, è giovane e alle prime armi e lo dimostra in maniera disarmante, con un candore che si rivela a tratti fastidioso. Per il resto, il cast è composto da attori che bazzicano cinema e tv in parti più o meno note: Parminder Nagra era la ragazzina di cui Keira Nightley si innamora in Sognando Beckham mentre Diego Klattenhoff interpretava Mike, l’amico di Brody e amante della moglie di Brody, in Homeland mentre qui lo troviamo in versione agente FBI biondo e tonto.

La storia alla base della serie è intrigante. Innanzitutto c’è la blacklist, un concentrato di cattiveria sotto forma di nomi tra i più fantasiosi. C’è il Freelancer, il Cuoco, il Buon Samaritano, il Corriere, tutti soprannomi che nascondono assassini e criminali senza scrupoli, con i quali Reddington ha lavorato per tutti questi anni e che ora consegna al Bureau. La prima domanda che sorge spontanea è “Perché?” Cosa spinge un uomo, che ha abbandonato tutto per entrare nei panni di un criminale divenuto ricco e potente, a consegnare i nomi di coloro con cui ha fatto affari per tutta una vita? Giochi di potere? Vendetta? A queste domande si aggiungono gli interrogativi sul legame tra Red e l’agente Keen. Elizabeth ci viene presentata come una giovane agente dalla vita apparentemente felice. Orfana di madre, allevata da un padre single, ha un marito, dolce maestro di scuola, che l’adora e stanno per adottare un bambino. Ma l’irrompere di Reddington nella sua vita le stravolge l’esistenza e ciò in cui credeva, il suo passato come il suo presente. Un intreccio che sembra prevedere numerosi colpi di scena, anche se il dedicare ogni episodio a un singolo caso, per quanto interessante, rischia in un paio di episodi di far cadere la serie in una ripetitività ciclica. C’è però da scommetterci che il nostro Red saprà sempre tirar fuori un coniglio dal suo cilindro magico, stupendoci ancora una volta. Vedere il midseason prenatalizio per credere.

La serie è partita lo scorso 23 settembre sulla generalista NBC e approda in Italia a dicembre, in onda su Fox Crime. Fin dall’episodio pilota, The Blacklist ottiene un buon successo di pubblico, al punto che la serie dapprima viene estesa alla programmazione con 22 episodi e in seguito, è rinnovata per una seconda stagione.

The Americans

La serie, in realtà, è partita lo scorso anno, a gennaio 2013 mentre in Italia la prima stagione va in onda ora su FOX da novembre 2013. Trasmessa dalla rete via cavo FX, la serie avrà una seconda stagione in partenza il 26 febbraio. Quindi se volete recuperarla, avete un mese di tempo. Ne vale la pena? Oh, si.

Siamo nei cotonatissimi ani ‘80. Agli inizi, per essere più precisi. Philip e Elizabeth Jennings sono una coppia felice, con due figli, rigorosamente una femmina e un maschio, una villetta in un quartiere residenziale e un’agenzia viaggi di loro gestione. Apparentemente conducono una vita tranquilla, ma nessuno sa che in realtà Elizabeth e Philip sono delle spie. E non per conto della CIA. Ma del KGB. I due, infatti, sono degli infiltrati, addestrati per apparire americani al 100% e adattarsi allo stile di vita made in USA per poter svolgere missioni per conto di Madre Russia. Elizabeth e Philip non si conoscevano quando, quindici anni prima, giungono in America, ma qui fingono di essere marito e moglie e, seguendo le direttive dei loro capi, agiscono come tali. Mettono su casa e hanno due figli, americani a tutti gli effetti. Dopo tutti questi anni, la “perfetta” macchina sovietica comincia a scricchiolare. E non solo per gli eventi storici in ballo, che hanno di sicuro peso nell’economia della storia e ne determinano i momenti di maggiore suspense, ma anche perché i due agenti del KGB vivono ormai come perfetti americani e, mentre Elizabeth sembra non aver perso la bussola né l’obiettivo finale della sua missione, Philip si sente sempre più legato a una cultura e uno stile di vita che, diciamocelo, non è niente male, a cui una volta abituati sembra difficile rinunciare per tornare indietro, i cui principi mettono in crisi quello che in patria gli è stato inculcato e che ha dovuto credere per una vita, e la cui accettazione significherebbe anche restare vicini ai loro figli, che a stento sanno dove si trovi la Russia e che crescono assimilando quei valori del capitalismo che loro combattono. Senza contare, cosa ovvia, la contorta, complicata, sofferta storia d’amore tra Elizabeth e Philip, che dopo quindici anni passati a fingersi sposati, sposi e amanti lo sono davvero.

The Americans ci immette in un’epoca difficile e controversa tanto dal punto di vista storico-politico che da quello socio-culturale, un periodo storico estremamente interessante nel suo essere considerato ancora così vicino eppure già lontano, e lo fa attraverso una vicenda umana insolita e ricca di contraddizioni e sentimenti contrastanti. Elizabeth e Philip vivono una vita di cartone a cui, però, cominciano a crederci per davvero, in bilico tra un passato che li tiene fortemente legati a sé e un futuro incerto ma non per questo meno affascinante. La loro crisi di certezze, i fantasmi di un Paese troppo distante, ma che continua far percepire la sua presenza, e la paura di dire quelle verità che in fondo entrambi conoscono, ma che seppelliscono bugia su bugia, li rende dei personaggi ambigui, a tratti incomprensibili, per altri del tutto giustificabili. Keri Russel, che tutti voi – ne sono sicura – conoscete per Felicity (che io non mancavo di seguire tutti i sabati su Rai 2), non poteva staccarsi maggiormente dal malinconico e sdolcinato personaggio interpretato anni fa, vestendo meravigliosamente i panni di Elizabeth, una donna algida, severa, rigida con se stessa e con il mondo, dal passato probabilmente doloroso e fermamente decisa a rimanere fedele alla sua missione, orgogliosa del suo ruolo nei confronti della madrepatria, ma allo stesso tempo, capace di rivelare lati nascosti del suo carattere di grande fragilità. Philip, interpretato da Matthew Rhys (qui in Italia conosciuto come Kevin Walker in Brothers&Sisters), è tra i due il più malleabile, quello che si è adattato meglio alla vita negli States e che sembra anche apprezzarla di più. Il suo personaggio è smarrito, al bivio tra il fare il passo decisivo e rinnegare la sua vecchia patria per la nuova e la paura di quel fatidico primo passa che cambierebbe tutto, e questo lo rende la mina vagante della coppia, un pericolo non solo per la loro missione, ma addirittura per se stesso. Il contrasto tra i due si ripercuote anche nelle loro dinamiche familiari e nell’altalena di sentimenti che vive la loro relazione, dove la menzogna regna sovrana e dove non si capisce mai a che punto finisca la spia e inizi l’uomo o la donna.

Oltre alla storia d’amore, non mancano tutti gli elementi che fanno di The Americans anche una spy story. La condizione di agenti segreti, le missioni spericolate e i molteplici travestimenti alla ricerca di informazioni e punti deboli sul nemico, in questa “guerra fredda” a cui manca sempre quel tanto così per scaldarsi all’improvviso, danno ritmo alla serie, che diventa sempre più veloce man mano che si infittisce la caccia alla spia dell’agente FBI Stan Beeman (interpretato da Noah Emmerich), deciso a stanare i russi che vivono nel suo Paese, ma che non sa di essere a sua volta spiato mente gioca a squash con il suo apparentemente innocuo vicino.

Ambientazione e realizzazione sono estremamente curate nel dettaglio. Siamo negli anni ‘80 e tutto sembra dichiararlo a gran voce: il televisore che si impolvera, i maglioncini  a collo alto di Elizabeth, la tuta di Philip con il marchio del brand in formato macro, una macchina da scrivere, giacche dalle spalline enormi e maniche a sbuffo su vestiti dai colori malva e smeraldo, un martini in un night e una parrucca bionda ossigenata e molto altro ancora, tutto disposto alla perfezione per far scatenare un meccanismo ormai molto in voga negli show televisivi, ovvero quello dell’effetto nostalgia. E qui siamo decisamente in modalità ON. Anche la colonna sonora contribuisce in tal senso e ci regala delle vere e proprie perle di quegli anni, che quasi rimpiangi di non aver conosciuto Phil Collins con ancora tutti i capelli mentre cantava “In the air tonight”.

The Americans è una bella serie, con tutte le carte in regola per stuzzicare lo spettatore e tenerlo incollato al divano, capace di mantenere alta la tensione, bilanciandola sapientemente lungo i due binari paralleli su cui corre la storia, lo spionaggio e la vita familiare dei Jennings, e non mancare mai un colpo. Non potrete più farne a meno.

Allora, recuperiamo?

[Piccolo avviso: questa settimana salta l’appuntamento con il riepilogo settimanale, per mancanza di tempo della sottoscritta. Abbiate pazienza, la rubrica tornerà settimana prossima ancora con il meglio e il peggio della serialità televisiva. Non mancate! ]


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