Serie tv: il volto noto della comedy

Da Strawberry @SabyFrag

Tra le nuove serie che si sono inserite nella mia lunga lista da addicted vi sono anche alcune comedy. Un genere che non è sempre facile realizzare e che non sempre riesce a coinvolgere il pubblico, nonostante le idee originali e le trovate divertenti. Un equilibrio sottile di non facile riuscita. Tuttavia io sono cresciuta a suon di sit-com e alcune di esse sono le mei serie preferite di sempre.

Se poi una comedy ha nel cast dei “pezzi grossi”, la curiosità aumenta.

The Michael J. Fox Show è il grande ritorno dell’attore sulle scene e, in particolare, al mondo delle serie tv dopo Casa Keaton, che chi ha più di vent’anni ricorderà o avrà sentito nominare. Ho una premessa da fare: non potrò essere del tutto imparziale con una serie che ha come protagonista il mio mito di bambina. Io con Martin McFly di Ritorno al futuro ci sono cresciuta, mentre lui andava a spasso nel passato e nel futuro con il grandissimo Doc. E a Michael, non mi vergogno ad ammetterlo, io voglio parecchio bene e provo per lui una stima infinita. Quando scoprii che soffriva del morbo di Parkinson, mi venne un magone che non vi dico. Da allora ogni suo segno di vita in tv o al cinema sono stati per me momenti di grande emozione. Un po’ come se rivedessi un vecchio amico che non incontravo da parecchio tempo. E quando ho saputo dell’arrivo di una serie con lui protagonista, ero felice come un grillo.

The Michael J. Fox Show è la storia di Michael e della convivenza con la sua malattia attraverso la fiction e una storia con dei personaggi che, pur non essendo reali, danno l’idea di cosa deve essere la vita per una famiglia dove uno dei membri soffre del morbo di Parkinson. Michael è Mike Henry, un famoso anchorman e reporter di un’emittente televisiva, che ha abbandonato il suo lavoro quando il suo male è peggiorato, rendendogli impossibile continuare ad apparire in tv. Vive a New York con la sua famiglia composta da sua moglie Annie (Betsy Brandt, la moglie di Hank in Breaking Bad), i figli Ian, Eve e Graham, la sorella single Leigh. Dopo qualche anno di pausa, Mike, spinto dalla famiglia e dal suo capo Harris, decide di tornare a lavoro. Il ritorno, combinato alla sua turbolenta famiglia e all’onnipresente – non potrebbe essere altrimenti – malattia, daranno vita a situazioni ed equivoci insolite e divertenti.

Parlare di una malattia come il morbo di Parkinson e riuscire a far ridere. Non è facile. Ma nel raccontare questa bizzarra vita familiare, la serie riesce brillantemente a evitare scontati e retorici pietismi o buonismi che avrebbero trasformato il tutto in un pianto corale e in un’occasione in più per quella commozione ipocrita che tanto è diffusa in tv. Ed evita anche di scadere nel cinismo e nell’ironia caustica che può scadere nel grottesco. Nell’assistere alla comedy, ciò che lo spettatore realizza è che Michael è un grande, come attore e come persona, un uomo coraggioso che ha saputo affrontare la sua malattia e non lasciarsi soccombere, e che questa è la sua vita, sicuramente edulcorata e con qualche modifica qui e là, ma è inequivocabilmente questa. Dopo una iniziale centralità data alla sua condizione, la serie in realtà si allontana dall’argomento, mette la malattia in secondo piano, facendola rispuntare solo dove ha davvero senso. E dopo un po’ lo spettatore non ci pensa quasi più e si gode la serie e quei venti minuti di leggera comicità che ogni episodio sa offrire. Perché c’è un’altra via per parlare di malattie nella nostra società e non si può farlo solo considerando i malati oggetti di compassione e pietà, ma si può mostrare il diritto di ogni malato a una vita più normale possibile, anche e soprattutto tramite la comicità.

Strutturalmente la serie non ha grandi slanci, ma neanche troppi difetti. Dopo quattro episodi, tutti i personaggi appaiono ben delineati e lo spettatore si muove tra loro in modo fluido, come se li conoscesse da molto più tempo. Le storie raccontate sono un mix tra la comedy moderna e i telefilm dai bei valori con cui siamo cresciuti. Questo non la rende una serie innovativa, ma di sicuro funzionante. E ha le potenzialità per creare affezione tra il pubblico. Lo sapevano bene anche quelli del NBC, l’emittente che trasmette lo show, che hanno garantito, ancor prima che la serie andasse in onda, l’intera stagione di 22 episodi. Tuttavia le gag e i momenti comici al momento sono parecchio altalenanti, sebbene con il proseguire degli episodi la serie sembra aver preso un buon ritmo.

Una formula che piace, che riesce a trasmettere un bel messaggio, a focalizzarsi sulla normalità di una famiglia piuttosto che alla diversità di un individuo. Senza caricare troppo i toni, la serie racconta la storia di una vita con la leggerezza che deriva dall’intrattenimento insito del genere.The Michael J. Fox Show è una serie simpatica che con grande sensibilità e tatto riesce a parlare di un argomento “spinoso” senza scadere nel banale ma addirittura facendoci ridere su. Qualcosa che in Italia non sarebbe mai successo, pieni come siano di fiction dove ogni occasione e buona per facili bacchettonerie, filippiche moraleggianti e piagnistei gratuiti.

Come comedy propriamente detta, forse, non è niente di sensazionale, di serie divertenti ce ne sono altre, di quelle che ti fanno piegare in due dalle risate, ma di sicuro lo show di Michael regala dei bei momenti e potrebbe crescere. Io ci spero.

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Altro discorso, altra serie. Il 26 settembre è partita The Crazy Ones, comedy che vede come protagonisti Robin Williams e la “cacciatrice” Sarah Michelle Gellar. Per entrambi un ritorno alla serialità: la Gellar dopo Buffy l’ammazzavampiri – alzi la mano chi non ha visto nemmeno una puntata! E tu che l’hai alzata, mi spiace per te… – Williams, andando parecchio a ritroso nel tempo, dai tempi di Mork&Mindy – “Nano, nano, la tua mano…” avete presente? No? Ma da che galassia venite?

The Crazy Ones racconta le vicende di una agenzia pubblicitaria alquanto sui generis, dove Williams e Gellar sono padre e figlia e trascorrono le giornate con il copywriter piacione Zach (James Wolk, già visto in Shameless, Happy Endings e Mad Men), l’art director un po’ nerd Andrew (Hamish Linklater, The Newsroom) e l’assistente svampita Lauren (Amanda Setton, Gossip Girl) nel tentativo di mandare avanti l’azienda e sfornare idee brillanti per i loro clienti.

La serie promette di essere esilaranti. Promette. In realtà…

The Crazy Ones non manca di simpatiche trovate e battute divertenti. Ma nel complesso, arrivati al terzo episodio, la serie non convince del tutto. Ogni episodio sembra essere slegato, poco scorrevole, una serie di gag dietro l’altra non sempre riuscite. Robin Williams, che dovrebbe interpretare Simon Roberts, in realtà interpreta solo se stesso. E le mille facce che sa fare. A conti fatti, lo show si basa per l’80% sulle sue uscite, battute, imitazioni, mattate varie. Sarebbe più il caso di chiamarlo “The Robin Williams Show”. Se siete fan dell’attore, apprezzerete. Ma fino a un cero punto. Non tutte le ciambelle riescono con il buco e, in effetti, non tutte le battute di Williams hanno l’effetto sperato. Per lo più si ha l’impressione che lui sia un simpaticone ma che la sua comicità non colpisca sempre al centro.

Sarah Michelle Gellar, abbandonati collane d’aglio e paletti di legno, non mi dispiace in una versione “comica”, anche se sembra sempre un po’ a disagio, scomoda in panni che non sente suoi. Bravo James Wolk, l’unico tra i protagonisti che al momento mi convince realmente, perfetto nel suo ruolo di seduttore e tombeur de femmes; molto simpatico anche Linklater. Non capisco la presenza della Setton, il suo personaggio fa da cornice ma potrebbe benissimo non esistere.

Un appunto sulla colonna sonora: Nicky Minai, Katy Perry… ok che vogliamo svecchiare la sit-com, ma musica migliore no?

Perché, in definitiva, continuare a guardare The Crazy Ones? Perché si tratta di una serie di intrattenimento leggero, che non lascia folgorati ma che non dispiace, una serie con degli attori degni di questo nome, conosciuti e che quindi posso contare  non solo su una certa affezione ma anche sulla fiducia del pubblico sulle loro qualità. Bisogna, però, chiarire agli autori dello show che non basta mettere insieme un certo numero di volti noti per rendere una serie appetibile, ma che gli spettatori hanno bisogno di ciò che viene loro promesso, ovvero quello che, in modo un po’ più rude ma indiscutibilmente chiaro, il pubblico chiede a gran voce: “Facce ride!”

Alla prossima con altre novità!

  


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