Otto personaggi proveniente dai luoghi più disparati del pianeta, dagli Stati Uniti all’Europa, dall’India all’Africa, dalla Corea al Messico, non si conoscono e hanno vite diversissime tra loro, eppure, all’improvviso, si troveranno a fare parte di un “cluster”, ovvero di un gruppo di menti affini che condivide emozioni, sensazioni, pensieri, ricordi e conoscenze, in cui possono comunicare tra loro e spostarsi, anche se non fisicamente, in vari luoghi e addirittura prendere possesso di altri corpi. A complicare il tutto, il gruppo è inseguito da un uomo di nome Whispers che dà la caccia ai sensate, ovvero queste persone dotate di capacità speciali. Starà a loro – Will, Riley, Capheus, Wolfgang, Kala, Nomi, Lito e Sun – capire chi sono davvero e qual è la storia che si cela dietro la creazione del loro cluster.
Sense8 si presenta come una serie sci-fi e gli ingredienti ci sono tutti – evoluzione umana, genetica avanzata e ai limiti del reale, un dottore pazzo e misteri con soluzioni parascientifiche – eppure la serie appare fin dal pilot qualcosa di più, qualcosa di diverso. Sense8 è una serie altamente metaforica e profondamente umana, dove ogni storia raccontata rappresenta uno degli aspetti di un messaggio più grande, consegnato alla missione che sembrano avere gli otto del cluster: ogni vita e ogni luogo non sono altro che una maschera con cui ognuno dei protagonisti cerca di nascondere la propria vera natura e l’infelicità e insoddisfazione che si cela nei loro animi, quel vuoto esistenziale che niente sembra colmare. La nascita di una connessione così profonda come quella dei sensate sembra in qualche mondo, volerci parlare delle difficoltà dei rapporti con gli altri odierni e di quel senso di solitudine che, nonostante tutti i mezzi che ci permettono di essere collegati 24 ore su 24 con il mondo, non ci abbandona mai.
Il tema delle relazioni umane e delle connessioni tra vite apparentemente diverse e distinte tra loro non è nuovo ai fratelli Wachowski. ci avevano già provato con Cloud Atlas, un film che presentava espedienti interessanti e di un certo impatto nonché spunti di riflessione che non hanno lasciato indifferenti, ma che ha pagato lo sconto di un disaccordo tra gli intenti del film e la sua potenziale espansione in un racconto pressoché infinito e la struttura e i tempi cinematografici che richiedevano una sintesi del progetto nella mente dei due registi, con il risultato di una pellicola per certi versi affascinante ma molto confusionaria e frammentaria. La formula seriale sembra essere loro più congeniale e a conti fatti, l’intera prima stagione di Sense8 può essere vista come un lungo film diviso in dieci capitoli, ognuno focalizzato sui singoli sensate. Il risultato è un reticolo quanto mai emozionante che collega vite, pensieri e sentimenti dei personaggi coinvolti, e balzando da una storia all’altra crea quel legame tra persone che annulla differenze e ostacoli e amplifica l’idea di essere qualcosa di unico destinato a essere insieme su questo pianeta. Senza dimenticare, però, una caratterizzazione attenta dei personaggi, che appaiono fina dai primi episodi solidi e ben tratteggiati, indipendenti l’uno dall’altro e capaci, quindi, di volta in volta di dare spazio alla propria storia, alla propria dimensione, raccontandoci di sé senza tradire lo spirito della serie e l’obiettivo centrale.
Il risultato è un viaggio, un vero trip mentale, che regala picchi di grande emozione, di coesione e simbiosi tra i personaggi in un’adesione ad alto impatto emotivo, come nella scena in cui gli 8 sensate di ritrovano a cantare What’s Up da ogni luogo in cui si trovano, ma anche attimi di adrenalina pura, in cui i Wachowski sanno bene come fare, con coreografie abili e precise, inseguimenti al cardiopalma e un ritmo sostenuto che si fa man mano sempre più veloce, mentre si passa da un personaggio all’altro, mentre veniamo sballottati da un angolo all’altro del pianeta, per poi tornare indietro e andare nuovamente avanti fino a che la scena non diventa un turbinio di suoni, colori e azioni sovrapposte e accelerate, che ti lasciano senza fiato. La scena della “finta” sparatoria di Lito da vedere per credere.
Una struttura tale, naturalmente presenta dei rischi. Il continuo alternarsi di storie e personaggi genera, soprattutto nelle prime battute della serie, una certa confusione e l’incapacità di seguire il filo roso che tiene tutte le linee narrative proposte, senza contare che a volte il saltare da una vicenda e l’altra può apparire stancante. In realtà, analizzandola nel suo complesso, l’economia della serie è quanto mai rispettata e dopo un iniziale momento di destabilizzazione, gli episodi si susseguono regalando indizi e risposte che lo spettatore attento, e ormai completamente rapito dalla storia e dai personaggi, raccoglie e codifica, tratteggiando così il percorso da seguire. Di puntata in puntata, Sense8 offre così uno spettacolo intrigante, dove l’empatia per i personaggi la fa da padrone per seguirne i passi e poter apprezzare la serie appieno, regalandoci parentesi emozionanti e ricche di pathos che non disturbano affatto il proseguo della storia principale. Impossibile non innamorarsi letteralmente degli otto protagonisti e appassionarsi alle loro storie. Sono il centro di tutto e questo appare fin da subito chiaro, permettendo allo spettatore un’immedesimazione rapida e pressoché totale. Tra gli attori protagonisti, spiccano le interpretazioni di Jamie Calyton (Nomi) e Truppence Middleton (Riley), probabilmente i personaggi più iconici tra quelli proposti, nonché quelli più capaci di guidare il gruppo in una prossima stagione che dovrà chiarire alcune questioni al momento lasciate in ombra a favore di soluzioni molto più sentimentali.
Sense8 è un prodotto intelligente e sensibile, dalla portata innovativa, un lavoro che cerca continua ispirazione e che offre espedienti diversi e una sperimentazione continua, non solo a livello di storytelling ma anche nella gestione del ritmo, nella ricercatezza della fotografia e nella cura all’accompagnamento musicale, forse due dei principali punti di forza della serie. Ogni episodio si presenta ai nostri occhi come una festa di suoni e colori, un dipinto dai paesaggi emozionanti, le immagini vivide e la colonna sonora ideale ad amplificare ciò che i membri del cluster provano e decidono di condividere con i loro fratelli. Immagine e suoni diventano così elementi collanti di quel legame che tiene saldamente uniti i pezzi di questa grande avventura che la serie cerca di raccontare.
Probabilmente Sense8 non sarà una serie che piacerà a tutti e magari non subito. La sovrapposizione di piani, il ritmo a tratti sincopato, il cambio di prospettiva repentino e spesso multiplo può generare una certa insofferenza a chi preferisce storie più “lineari” e sviluppi in cui a ogni causa corrisponde un effetto. Eppure Sense8 è una serie a cui vale la pena dare uno sguardo, per la sua ventata di novità e il suo concetto di serie “d’avanguardia” che tenta di offrire qualcosa di diverso nel panorama della serie televisive e del mondo sci-fi, offrendoci un tipo di intrattenimento leggero eppure intelligente, dai molteplici livelli di lettura e con una sua visione del mondo da diffondere e condividere, capace di alienarci, confonderci ma anche emozionarci profondamente. Anche questa volta Netflix ha colpito nel segno e ci sono tutte le premesse per una seconda stagione e per una serie destinata a crescere e progredire senza perdere nessuno dei suoi punti di forza. Nell’attesa, quel che è certo è che andrete canticchiando in giro What’s Up per almeno una settimana. E sarà bellissimo.