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Servizio Pubblico narcisistico e filosofico: dopo Santoro che sdogana Berlusconi, De Filippi sdogana Renzi. Sulla risposta di Travaglio a Grasso, sull’ira funesta Sgarbi – Cacciari e sul Bersani-Findus.

Creato il 29 marzo 2013 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali

388px-Hoet_The_Blasphemer_Stoneddi Rina Brundu. “Zitto tu che non sai un cazzo!” così parlò Vittorio Sgarbi, ieri, durante la diciannovesima puntata del Servizio Pubblico di Michele Santoro. Erano le 21.53 (circa) di un’altra inconclusiva serata di approfondimento giornalistico e l’ipse-dixit di cui sopra rappresentava da par suo il gist del discorso sgarbiano. L’oggetto e la cagione di tanta ira? Quel Massimo Cacciari, reo – secondo Sgarbi – di avere procurato scempi culturali non indifferenti nella Venezia da lui amministrata quando in carica come primo cittadino. Il tutto a ciliegina di un discorso che aveva portato l’ex sindaco di Salemi ad individuare in Tommaso Campanella prima (sì, stiamo proprio parlando del filosofo e teologo morto a Parigi nel 1639), e in Riccardo Muti poi, i due più validi candidati alla carica di Presidente della Repubblica Italiana. Soggetti “candidabilissimi” ha fatto prontamente notare lo stesso Santoro, soprattutto il primo!

E Cacciari? Cacciari, incazzatissimo, si è tolto il microfono e se ne è andato. Che a giudicare da quanto era accaduto pochi minuti prima, il discutibile aforisma sgarbiano non è neppure stato la causa di tanta bile. Il problema è che Cacciari si era presentato già animoso in studio e la sua prolusione è stata a sua volta micidiale (si fa per dire). Il discorso del filosofo (di Cacciari non di Campanella!), si era infatti proposto anch’esso coronato da un aforisma-to-be-remembered “Inutile piangere sul latte versato” prima di trasformarsi in un J’accuse a tutto campo contro la crisi-di-sistema. Cacciari ha detto chiaro e tondo che mercé la figura-pietosa (chissà di chi parlava veramente?), fatta dai partiti prima, durante e dopo la corrente crisi politica, lo status-quo senza via d’uscita impone una svolta presidenzialistica, nel senso che solo una figura di grande rappresentatività istituzionale potrà aiutare il Paese ad uscire definitivamente dal pantano. “I partiti si riformeranno” ha ricamato l’ex sindaco di Venezia “fra venti, trent’anni. Ma adesso finiamola: è tempo di guardare in faccia la realtà!”. Subito Sgarbi, rapito da tanta cogitazione, ha obbedito al diktat e dall’intensa meditazione sulle ispirate parole di Campanella “Gabbia de’ matti è il mondo” è passato a controllare la nota della spesa infilatagli nel pastrano dalla sua badante prima di uscire.

Ma per fortuna che c’era il Riccardo… direbbe Giorgio Gaber; fortuna che c’era il Travaglio dico io. Un Marco Travaglio in grande spolvero, elegantemente vestito ed elegantemente pungente nella sua risposta al Presidente del Senato Pietro Grasso. Una risposta che – indipendentemente dal caso specifico – ci dice di come Travaglio –  benché a sua volta animato da quella furbizia tutta italica di cui accusava il suo interlocutore ideale – proponga una tipologia di giornalismo che ci piace e che vorremmo sempre vedere all’opera ma che per qualche ragione si vede di rado. In altre parole nella diatriba Grasso-Travaglio io sto con Travaglio senza se e ne ma e penso anche che la seconda carica dello Stato – a ragione o a torto – non dovrebbe mai telefonare nelle trasmissioni di critica giornalistica per perorare la sua causa. Se una tale appointment di alta rappresentatività istituzionale è stato conferito, infatti, le motivazioni importanti ci saranno senz’altro, indipendentemente dalle critiche giornalistiche e senza mai dimenticare che (Bruno Vespa non me ne voglia), una trasmissione televisiva non è un tribunale della Repubblica!

E poi la serata si è trascinata tra alti (vedi l’intervento anche toccante e salutato da un lunghissimo applauso di Patrizia Moretti la madre di Federico Aldrovandi; o, ancora, l’attacco dal pubblico di un grillino determinato che ha tentato di riportare l’attenzione dei più sui problemi-reali, accusando gli ospiti presenti di narcisismo – attacco peraltro immediatamente rintuzzato da uno Sgarbi incontenibile, con un metaforico “Narcisista, moi?”) e bassi (vedi l’assoluta incapacità di Laura Puppato, pure lei presente in studio, e da venti giorni in Parlamento tra le fila del PD – come lei stessa ha tenuto a precisare – di proporre una immagine del suo Partito davvero credibile e diversa), e momenti di stanca dettati anche dai tempi televisivi e internautici, nonché da altri momenti più leggeri dettati dai tempi innegabilmente ridicoli che viviamo.

Il tutto mentre quasi ti pareva di sentire nell’aria un redivivo Tommaso Campanella che meditava e cogitava a voce alta sul triste destino della sua amata Patria: “Abbiamo 3 Papi (2 in Vaticano e uno in Italia, a sentire tante storie), 1 Premier emerito per il disbrigo degli affari correnti, 1 ministro degli esteri dimissionario tra le fila di un governo dimissionario, 2 assessori siciliani in meno, 945 parlamentari in più, 2 Marò di troppo in India, un Grillo avverso, un Bersani in giro da mane a sera per il contado come un Remì randagio e senza famiglia, seppure ormai opportunamente congelato come un bastoncino Findus, un leader di destra mediaticamente sdoganato da un giornalista di sinistra suo acerrimo avversario fino a non troppo tempo fa, un futuro leader di sinistra prossimamente consacrato imperatore nella basilica di San Pietro… pardon, nello studio di registrazione della prima puntata di Amici di Maria Immacolata De Filippi: ma, por todos los santos e todos los collegas filosofos del mundo, ‘ndo cazzo abbiamo sbagliato?”.

Featured image Il bestemmiatore lapidato, Gérard Hoet et Abraham de Blois, Immagini della Bible, , P. de Hondt editore, La Haye, 1728.

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