Signori, sono tornato.
Plutonia Experiment riapre i battenti da oggi, mettendo da parte il palinsesto estivo per tornare alla regolare programmazione quotidiana.
Partendo già da lunedì ho molti spunti e articoli da condividere con voi lettori. Si tornerà per esempio a parlare di plagi più o meno palesi, ma anche di come la Crisi può essere un evento scatenante di cambiamenti positivi, specialmente per chi lavora in campo artistico. Vi recensirò un paio di ottimi saggi che ho letto in questi giorni, che mi hanno aiutato a capire come e quanto è possibile gestire al meglio la propria presenza in Rete, cercando di ricavarne un lavoro. Recensirò anche BPRD: Hell on Earth, l’ultimo volume a opera di Mike Mignola, che grazie a una grande botta di fortuna ho comprato a New York nel giorno ufficiale della sua uscita, il 15 agosto. Insomma, dalla settimana che inizia il 27/8 (quando tutti o quasi sarete tornati online), aspettatevi tante belle cose.
C’è dunque molta carne al fuoco, ma per oggi concedetemi una top 7 di fine vacanza, che riassume un po’ questi giorni di tour in Canada e negli USA tramite pochi appunti di viaggio. Foto e itinerari li ho già condivisi su Facebook e Twitter, quindi se volete curiosare date un’occhiata ai miei profili “social”.
- Nomadismo. Mi sono sempre ritenuto un sedentario DOC (e probabilmente continuerò a esserlo), tuttavia ho scoperto che per natura o per necessità l’uomo può tranquillamente adattarsi al nomadismo, facendoselo perfino piacere. Dieci stati americani e due province canadesi attraversati in nove giorni, non so quante ore di viaggio sulle spalle, tempo dedicato al sonno ridotto al minimo sindacale (4/5 ore a notte). Eppure alla fine ho preso il ritmo senza problemi, sentendo la necessità di muovermi verso la prossima meta. A volte la cosa più difficile da fare è davvero il primo passo.
- La diversità che arricchisce. Aderendo a un tour internazionale ci siamo trovati imbarcati in un magnifico viaggio multietnico: una quarantina di cinesi (tra sino-americani e cinesi provenienti dalla madrepatria), diversi australiani, una famiglia di indiani e una di vietnamiti. Dopo le titubanze iniziali si è creato uno splendido clima di simpatia, espressa spesso con poche parole e pochi, essenziali gesti. Ho scoperto che la convivenza è possibile anche quando si viene da mondi antitetici. Anzi, ho avuto la prova che la diversità non è altro che arricchimento. E non è una frase fatta. Da questo viaggio io mi sento proprio così: arricchito. Quindi lasciatemi dire che i razzisti sono tutti coglioni. Sì, anche voi là fuori in ascolto, che scrivete stronzate infami spacciando il tutto per articoli ricchi di sarcasmo e ironia. L’anziano cinese a malapena alfabetizzato che ho conosciuto in questi giorni vale molto più di voi, che vi beate della vostra sterile cultura.
- Spazi aperti. Per il secondo anno di fila non ho potuto fare a meno di notare quanto in Nord America amino avere degli spazi aperti, liberi e condivisi, in cui la gente può incontrarsi, oppure semplicemente passare delle ore all’aria aperta, leggendo, navigando sul web o chiacchierando tra amici. Parchi, piazze, aree di sosta tra un palazzo e un altro, panchine, gradinate: tra Canada e USA l’imperativo sembra essere proprio quello di offrire aree di aggregazione ai cittadini. Un concetto opposto a quello che siamo abituati a vedere in Italia, dove le uniche aggregazioni avvengono invece nei centri commerciali o nei locali alla moda. Ci stanno forse insegnando a diffidare del vicino, della strada, del contatto col mondo esterno? O è in primis colpa nostra, popolo di superbi e vanagloriosi individualisti, pronti a diffidare di qualunque cosa che sia accessibile a tutti, perdendo così il ruolo di status symbol?
- Wi-fi per tutti. Sembrerà ma una cavolata ma non lo è. Quanto è bello potersi sedere in un parco a mangiare un panino (vedi sopra) e al contempo godere di una connessione wireless libera, potente e gratuita per controllare la posta, per aggiornare i social network o perfino per lavorare? Ecco, tutto questo qui è ancora precluso, mentre altrove è oramai la normalità. Perfino nel bel mezzo delle disabitate autostrade del Vermont è sufficiente fermarsi in una qualunque area di sosta per trovare una rete sicura a cui agganciarsi. E non parliamo delle grandi città. Discutiamo tanto di futuro e di utopie, ma direi l’accesso al Web libero e gratuito è una delle fondamenta su cui costruire tutto il resto. Ricordate che sto parlando di paesi, gli States e gli USA, che hanno una “fissa” per la sicurezza nazionale, ma che non rinunciano a incentivare l’utilizzo globale del Web. Mentre a noi, qui in Italia, continuano a raccontare le favolette sulla necessità di registrare chi si connette e bla bla bla, limitando quindi ogni discorso di questo tipo.
- Canada. La vera scoperta di questo mio viaggio. Tre giorni che dovevano rappresentare una tappa intermedia e che invece sono stati forse i più belli del tour. Ho trovato un paese tutto da visitare, immenso e pulito, ordinato e civile, con poche bellissime città che intervallano distese naturali immense. Note di merito per Ottawa e sopratutto per Quebec City, uno dei posti più belli che ho visitato nella mia vita. Sicuramente uno dei paesi da segnare e da tenere in conto per un’eventuale, futura fuga dal nostro derelitto paese.
- Bloggare, scrivere. Credevo di soffrire di più l’impossibilità di non poter aggiornare il blog quotidianamente. In realtà non è andata così. In primis avrei pure avuto il tempo e il modo di scrivere un paio di post on the road, complice il wi-fi presente ovunque (vedi sopra). In realtà non ne ho sentito l’esigenza. Il diario di viaggio l’ho tenuto su Facebook e Twitter, social network ottimali per condividere fatti e stati d’animo in maniera rapida ed efficace. Secondo, credo che la pausa, coi soli post programmati in anticipo a fare da palinsesto ridotto, sia stata necessaria. Nel mentre mi arrivano echi di soliti troll, di brutta gente che scrive brutte cose su brutti blog. Insomma, anche ad agosto la blogosfera può dare il peggio di sé. Eppure, visti da lontano, questi problemi (e soprattutto chi li provoca) appaiono ridimensionati. Risibili. Ridicoli.
- Un paese vecchio. C’è poco da fare: l’Italia è un paese per vecchi. Te ne accorgi quando ti trovi nel centro di New York, di Ottawa, di Toronto o di Boston e tutte le persone che escono dai palazzi dirigenziali dimostrano un’età compresa tra i 25 e i 50 anni. Allora fai il paragone con ciò che vedi a Milano (o in altre città Italiane) e ti cadono le braccia. Fin quando qui il potere sarà in mano ai “cumenda” vecchi, retrogradi e ignoranti, ci sarà poco da sperare e poco da fare. Mentre il resto del mondo affronta la famigerata Crisi lanciando le nuove generazioni all’attacco, noi lasciamo che dei vecchi spaventapasseri continuino a sfruttare i giovani per conservare i loro privilegi immeritati.
Welcome in Italy: enjoy your stay.