Tanto oramai ce lo dicono sempre più spesso: “voi sputate nel piatto dove mangiate!“
Ma anche l’ancor più classico “O la ami o te ne vai!“
Stiamo ovviamente parlando dell’Italia, che i più sarcastici storpiano in ItaGlia, abitata ovviamente dagli itaGliani e dagli italioti. Un Paese che è impossibile non criticare e a cui non bastano le solite scusanti generiche che ci ripetono da anni: la buona cucina, i bei paesaggi, le opere d’Arte.
Un paese in cui un buon film cinico e disincantato sul nulla che permea tutto, La Grande Bellezza, viene supinamente interpretato come un’ode al patrimonio artistico nostrano.
Eppure, curiosamente, l’Italia può essere criticata dai populisti più beceri, dai movimenti di piazza che difendono i piccoli evasori fiscali, ma non da chi espone delle osservazioni in tono più distaccato e freddo.
L’Italia è il paese di chi grida più forte. Lo è sempre stato, lo è ancora di più oggi, con la Crisi che imbruttisce la gente. Di contraddizioni nostrane ce ne sono a bizzeffe. Io vi segnalo le sette più evidenti, riscontrate nei settori in cui opero.
Sette contraddizioni tutte italiane
- La protesta come atto di esibizionismo. Non generalizzo, si capisce. Tanto di cappello a chi le proteste le fa davvero, senza telecamere e senza demagoghi da portare in parlamento per acclamazione. In linea di massima mi sembra che più certe manifestazioni sono becere, più servono soltanto per guadagnarsi un posto al sole. Vale in politica, vale anche nel virtuale.
- Il nuovo visto come ostile. Essendo un Paese intrinsecamente vecchio, dove i quarantenni vengono visti ancora come “ragazzi”, l’Italia è refrattaria a qualunque cosa rappresenti una novità. Il nuovo viene percepito come pericoloso, perché minaccia l’instabile equilibrio del vecchio. Vale in politica, come nell’editoria.
- Non collaborazione, bensì solo concorrenza. L’italiano vive per il campanile, ossia per se stesso. Il prossimo non viene quasi mai visto come una possibile fonte di arricchimento – sia in senso morale che materiale – bensì come un concorrente. Che quindi va ostracizzato e soffocato nella culla.
- Con la Cultura non si mangia. Strano che questo orribile concetto si sia diffuso a macchia d’olio nel paese che ha dato i Natali alla civiltà Occidentale, eppure è così. L’onda lunga della cultura elitaria ce la portiamo dietro da almeno un secolo eppure, mai come oggi, essa appare anacronistica e autolesionista. Il motivo? Presto detto: è più facile ammansire un branco di pecoroni illetterati.
- Chiudersi al mondo. Laddove il resto del pianeta sta sperimentando – adattandosi – alla globalizzazione, l’Italia disdegna perfino le cose basilari, come per esempio avere un livello decente di conoscenza della lingua inglese. Anzi, chi lo conosce viene definito uno con la puzza sotto in naso, un esterofilo. Altro che cianciare di flussi migratori.
- Tendenza alla disonestà. Che è un’accusa pesante, che ci viene rivolta a più riprese dai nostri “vicini” europei. Luoghi comuni? Cliché? Io dico solo: pagamenti non puntuali, lavoro in nero, tendenza all’evasione, sfruttamento del prossimo, cavilli pseudo-legali per distruggere la concorrenza (vedi punto 3). Il DNA è marchiato. Speriamo di poterlo ripulire con le nuove generazioni.
- Mancanza di rispetto. Per il lavoro altrui, per le diversità, per i non-allineati, per le istituzioni, per le autorità, per le regole basilari della convivenza civile. Null’altro da spiegare. Fatevi un giro là fuori e poi ditemi.
Perché parlo di contraddizioni, quando questi sono veri e propri difetti?
Perché io conosco ottime, straordinarie eccezioni a questi sette punti. Persone forti e coraggiose, che combattono contro gli stereotipi, contro la gerontocrazia, contro i populisti e i buffoni che si ergono a (finti rivoluzionari). In tutti i campi, in tutti settori.
Queste eccezioni non sono nemmeno poche, a voler ben guardare. Solo che le vedo sempre più avvilite e disilluse.
Brutti, bruttissimi segnali…
Ma io voglio essere ancora un poco ottimista. Prima o poi la ruota girerà anche qui. E non parlo necessariamente di faccende politiche.
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(A.G. – Follow me on Twitter)