Sez. Aspettando l'apocalisse - Tema: Tu non sai quanto.

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Caterina si guardò riflessa nella vetrina della Rinascente. Che bella idea, mettere un negozio così dentro alla stazione Termini. Una donna può sempre aver bisogno di qualcosa all’ultimo momento. Entrò sicura e si diresse verso la profumeria. Una spruzzata di Cristalle avrebbe rinnovato la fragranza messa all'alba. Strinse gli occhi, felina: calze autoreggenti sopra crema per il corpo, il principio di un disastro. Appena il tempo di dare alla piega ribelle della calza un’occhiata da incenerirla – sta cedendo, la maledetta – e quella non c’era più, via via, sfilata davanti agli occhi sgranati della commessa. Tanto qui nessuno mi conosce, non siamo mica a Grosseto. Tanto sono abbronzata e ho le gambe lunghe. Che vuoi che sia, una gonna sollevata. Fa Marylin. Sistemò la chioma rossa, passandoci le dita attraverso: seta. Che ne sa Baricco. 

Guardò l'orologio: le nove del mattino di un giorno perfetto. Ancora venti minuti. Ventiminutiventiminutiventiminuti e arriva Enrico. Ma quanto tempo era passato, quanto. Due anni di merda. Caterina pensò che non le importava, era diventata saggia, almeno quanto lui che faceva il prof di filosofia e dunque la saggezza era il suo pane. Erano stati colleghi e amanti, amanti e colleghi. Due trentenni scalpitanti in mezzo a un parco mummie che neanche al museo egizio di Torino. Si amavano, dunque. Nello stanzino delle fotocopie e in quello delle scope, al bagno e in albergo. E dopo l’estate lui era stato trasferito, lontanissimo. Lo aveva chiesto prima di conoscerla, il trasferimento all’estero. Che vuoi farci. Era arrivato, tutto quel bendiddio, pensione doppia, stipendio doppio, doppio punteggio in carriera. Sarebbe tornato e avrebbe avuto il posto come insegnante di ruolo. Bendiddio un cazzo. Caterina ci si era consumata peggio del gesso sulla lavagna. Polvere alla polvere, gesso idem. La matematica le veniva fuori triste, i ragazzi li detestava, tutti innamorati. Tutti schifosamente innamorati.Enrico, dove sei? Caterina si trascinava stanca nel corridoio che aveva visto il loro amore, e davanti allo stanzino delle scope e a quello delle fotocopie chiudeva gli occhi.Poi un giorno quella lettera. Una bella lettera Air mail Par avion, che metteva allegria anche senza aprirla. Un filosofo scrive lettere, mica usa il computer. E poi in Etiopia dov’era andato lui neanche era facile, trovare un computer e usarlo. E lì, in quella busta, c’era un foglio meraviglioso su cui stava scritto che Enrico tornava. Tornava per lei. Sarebbe atterrato a Roma e si sarebbero incontrati a Termini.Torna per me torna per me torna per me alle 9.20.Che mi sono fatta la messa in piega e ho i capelli profumati e ho scarpe tacco dodici e la biancheria intima di pizzo e un abito leggero che viene la voglia di infilarci una mano dentro e calze autoreggenti che ho buttato via tanto ho le gambe belle lo stesso.Mi dirà che gli sono mancata. Ma che abbiamo tutto il tempo, adesso.

Alle 9.20 del 21 dicembre 2012. Tu proprio non sai quanto.
R.L.

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