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Sfide economiche ed equilibri politici del Portogallo di Antonio Costa

Creato il 02 febbraio 2016 da Bloglobal @bloglobal_opi

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di Giuseppe Consiglio

La travagliata nascita del nuovo governo portoghese a trazione socialista, varato a fine novembre e guidato dall’ex sindaco di Lisbona António Costa, offre una plastica rappresentazione di come l’intervento delle Istituzioni europee nelle fasi della campagna elettorale e della costituzione dei governi nei Paesi dell’area Euro stia diventando una prassi consolidata. Agitando lo spauracchio dei mercati, l’ex Presidente della Repubblica Aníbal Cavaco Silva, esponente del Partito Socialdemocratico (PSD) e in carica fino allo scorso 24 gennaio, all’indomani delle elezioni legislative del 4 ottobre conferiva l’incarico di costituire il nuovo governo al Premier uscente Pedro Passos Coelho, fautore nonché attivo esecutore delle riforme  garantite da Lisbona a fronte del salvataggio da 78 miliardi di euro negoziato nel 2011 con la Banca Centrale Europea (BCE), Commissione europea e Fondo Monetario Internazionale (FMI). Sebbene Coelho avesse perso la maggioranza assoluta dei seggi – condizione che, con 123 voti sfavorevoli su 230 deputati, ha comportato la mozione di sfiducia nei confronti del programma del nascente governo – e i tre partiti di sinistra (il Partito Socialista – PS, il Partito Comunista – PCP, i Verdi – PEV e il Blocco di Sinistra – BE) avessero dichiarato la propria disponibilità a costituire un esecutivo di coalizione, Silva ha tentato fino all’ultimo di estromettere dal governo del Paese le forze politiche anti-austerity, antieuropeiste e critiche, peraltro, rispetto alla permanenza del Portogallo nelle istituzioni europee e nella NATO.

Il voto del 4 ottobre - Che le elezioni politiche tenutesi il 4 ottobre 2015 avessero restituito uno scenario politico incerto e foriero di quella instabilità instituzionale che i Paesi europei, ed in particolar modo quelli mediterranei, hanno imparato a temere per via delle ripercussioni sui mercati finanziari, era stato ampiamente previsto. Il paventato rischio di ingovernabilità spesso emerso dalle rilevazioni sulle preferenze di voto dei cittadini portoghesi, che vedevano in vantaggio il Premier uscente Coelho, alla guida della coalizione conservatrice “Portugal à Frente” – formata dal PSD e dal Centro Democratico Sociale-Partito Popolare (CDS-PP) – sullo sfidante António Costa, del PS, il principale partito di centrosinistra portoghese, si è alla fine in parte concretizzato. Con il 38,48% dei consensi e 107 deputati 25 in meno rispetto alla precedente legislatura, la coalizione di centro-destra di Passos Coelho non è riuscita infatti a raggiungere il 46% dei voti che, tradotti in seggi, avrebbero consentito al Premier uscente di raggiungere quota 116 scranni necessari ad avere  la maggioranza assoluta a Palácio de São Bento. Con il  32,38% dei voti e 86 deputati, António Costa, ancorché uscito sconfitto dalla competizione elettorale, è rimasto alla guida del partito e, come visto, ha dato vita al nuovo governo in coalizione con i partiti di sinistra.

A sparigliare le carte, come successo già in altri Paesi (si vedano la Spagna in occasione del voto del 20 dicembre, la Grecia nel corso del 2015 o l’Italia già nelle elezioni legislative del 2013, e come è plausibile che accada anche in Francia nel 2017), sono state le forze anti-austerity ed euroscettiche, proliferate in tutta Europa, ciascuna con proprie sfumature e peculiarita, portatrici di una visione alternativa a quella sistemica declinata secondo modalità assai differenti a seconda dei contesti, ma accomunate dalla medesima aspirazione: emancipare i rispettivi Paesi dalla trappola del debito pubblico. In Portogallo, questo ruolo è giocato dal Bloco de Esquerda, da più parti definito come la versione lusitana di Syriza, guidato da Caterina Martins e Mariana Mortágua e che con il 10,22% dei voti e 19 seggi ha conquistato il miglior risultato della propria storia, superando i comunisti di Coligação Democrática Unitária – la Coalizione Democratica Unitaria che ha ottenuto l’8,27% dei consensi e 17 seggi. È  entrato in Parlamento a sorpresa, ma con un solo deputato, anche Pessoas–Animais–Natureza (PAN) – Animali, natura e persone, che ha conquistato l’1,39% dei voti. 

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Risultati elettorali – Fonte: Público

Portogallo, Irlanda e Grecia: 3 crisi, un’unica causa – Il quadro politico restituito dal voto dello scorso ottobre si inserisce, d’altra parte, nel più ampio quadro di crisi del debito sovrano dell’eurozona che ha già determinato la “capitolazione” di altri due Stati collocati nel gruppo dei PIIGS: l’Irlanda e la Grecia. Il denominatore comune della crisi che ha colpito i tre Paesi, e che ha rischiato di travolgere anche Italia e Spagna, è riconducibile in ultima istanza all’insostenibilità dei rispettivi debiti pubblici, il cui costo è esploso rendendo particolarmente oneroso collocare a mercato i titoli di Stato emessi da Dublino, Atene e Lisbona, costretti alla fine a chiedere l’intervento della cosiddetta Troika. La causa della patologia è dunque una, ma la virulenza con cui è esplosa, i sintomi che ne hanno determinato la palese manifestazione e i sistemi che ha colpito sono assai differenti.

Le genesi della difficoltà finanziarie del Portogallo sono in prima istanza riconducibili a ragioni di natura sistemica proprie dell’economia del Paese, specializzata in produzioni ad alta intensità di lavoro e basso contenuto tecnologico, segmenti con scarso valore aggiunto e per questo motivo maggiormente esposti alla concorrenza dei Paesi emergenti. Una seconda motivazione va cercata nella marginalità, anche geografica, del Portogallo rispetto alle principali direttrici degli scambi europei. Importanti carenze infrastrutturali, livelli di istruzione insufficienti, sperperi e noncuranza nella gestione del patrimonio pubblico, salari eccessivamente alti se posti in relazione alla produttività e una classe politica spesso inadeguata, completano il quadro di un sistema che necessita di importanti riforme in grado di riassegnare al Paese un ruolo di rilievo in Europa. La scarsa competitività e la conseguente flessione delle entrate fiscali ha ridotto negli anni la liquidità di cassa fino alla soglia dei 2,9 miliardi di euro del 2011 che ha spinto Lisbona  a rivolgersi formalmente alle Istituzioni europee per un piano di salvataggio da 78 miliardi di euro.

La Grecia è diventata il simbolo per eccellenza della crisi del debito pubblico dell’eurozona. Essa ha fornito una chiara dimostrazione degli effetti che i tagli alla spesa pubblica possono produrre in economie evidentemente impreparate ad affrontare il radicale mutamento dei paradigmi classici di politica economica e alla cessione della sovranità monetaria. La crisi si manifestava quando Gorge Papandreou, neo Premier socialista, rendeva noto che in quattro anni di governo conservatore il debito pubblico era cresciuto da 160 a 300 miliardi di euro.  Le incertezze e i timori sull’entità del buco ellenico che alla fine si palesarono in tutta la loro gravità con il rapporto deficit/PIL attestatosi sul 12% anziché sul 3%, determinò un’esponenziale crescita dei tassi di interesse sul debito greco. Anche lo swap da 2,8 miliardi negoziato con Goldman Sachs nel 2001, che permise di ridurre il debito del 2% così da garantire l’ingresso del Paese nell’euro, comprometteva la credibilità di Atene nei mercati finanziari.

Nel caso irlandese, a travolgere il Paese è stata la crisi del sistema bancario. L’aiuto chiesto da Dublino per ricapitalizzare le proprie banche ed avviare il risanamento dell’economia a seguito dello scoppio della bolla immobiliare esplosa nel 2010 (che determinò il crollo dei prezzi degli immobili di oltre il 35% rispetto al picco del 2007/2008 e il tracollo del numero di mutui concessi ridottisi del 73%), prevedeva un piano d’aiuti di 67,5 miliardi (22,5 miliardi dall’UE, 22,5 dall’FMI e 17,5 dalla Facility europea, ai quali vanno aggiunti ulteriori 17,5 miliardi messi sul piatto dallo stesso governo irlandese per un totale di 85 miliardi). Nel 2013, il Paese è lentamente venuto fuori dalla crisi, concludendo il programma triennale di salvataggio e propugnando una politica di austerity che ha portato ad una crescita della pressione fiscale del 15%. La sconsiderata deregolamentazione finanziari è però costata cara all’Irlanda. Il salvataggio delle proprie banche ha causato una crescita esponenziale del debito pubblico, passato dal 25% del PIL dei livelli pre-crisi ad oltre il 120%. La cura sembra sia stata gradita ai mercati finanziari: nel 2015 Dublino ha mantenuto il rating Baa1 assegnatogli da Moody’s già a maggio del 2014, dal Baa3 di fine 2013. Sebbene  gli spiragli di ripresa siano evidenti, prima che la tigre celtica torni a ruggire ci vorrà però ancora del tempo.

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Confronto PIL annuale

L’insostenibilità del debito pubblico accomuna dunque i tre Paesi che in periodi diversi hanno dovuto chiedere l’intervento della Troika. Tuttavia, i fattori che hanno messo in evidenza la fragilità delle loro economie sono ben distinti: la scarsa competitività per il Portogallo, un’inadeguata trasparenza dei conti pubblici in Grecia e un sistema bancario “drogato” di deregolamentazione per l’Irlanda.

La genesi della crisi finanziaria portoghese e possibili soluzioni – Come anticipato, la crisi lusitana si ascrive, in quella più generale del debito pubblico dell’area Euro. Nel 2011, la sofferenze finanziarie di Lisbona erano oramai conclamate e inducevano José Sócrates, ex Primo Ministro socialista, a rassegnare  le proprie dimissioni dopo la bocciatura del pacchetto di misure necessarie a tentare un risanamento dei conti pubblici e perlopiù riconducibili a tagli della spesa e ad un inasprimento della pressione fiscale. Le prime difficoltà tuttavia, si erano già manifestate nel 2009 quando gli effetti della crisi finanziaria di Wall Street cominciavano ad esser evidenti anche in Europa e rischiavano di travolgere un Paese il cui PIL nel periodo 2001/2008 cresceva in media dell’1,1% l’anno. Nello stesso periodo si assisteva all’incontrollata deflagrazione del costo del debito pubblico, mentre il rapporto debito/PIL sforava pressoché costantemente la soglia del 3% fino a sfondare il tetto dell’11% nel 2010, poco meno del quadruplo di quanto stabilito dai parametri di Maastricht.

Il rapporto deficit/PIL seguiva sostanzialmente le oscillazioni del valore medio del medesimo indicatore riferito ai Paesi dell’eurozona, viaggiando tuttavia a diversi punti percentuali di distanza, a testimonianza di come gli effetti congiunturali cui hanno dovuto far fronte tutti i Paesi dell’area Euro siano stati sostanzialmente aggravati dai vizi strutturali dell’economia portoghese. Il grafico sottostante mette in relazione l’andamento del rapporto deficit/PIL portoghese con quello dei Paesi dell’area Euro. 

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In alto: rapporto debito/PIL; in basso: rapporto deficit/PIL – Fonte: Eurostat

Con un deficit annuale passato nell’anno della crisi dal 3.8% del 2008 al 9.8% del 2009 fino al già ricordato 11,2% del 2010, il rapporto debito pubblico/PIL passava dal 70% dei periodi pre-crisi al 100% del 2010, superando abbondantemente anche la seconda soglia prevista dai parametri di Maastricht e fissata al 60%. 

Sebbene nel 2010 il Portogallo sia stato uno dei Paesi dall’area Euro a crescere maggiormente facendo segnare un +2% di PIL e un parziale miglioramento nel rapporto con il deficit, le dinamiche innescate dal primo salvataggio della Grecia costato 110 miliardi di euro, hanno determinato un costante incremento dei tassi di interesse dei bond emessi da Lisbona: dai 500 punti base del 2010 si passava agli oltre 1000 dell’estate del 2011. Il conseguente crollo sul mercato dei capitali spinse Socrates ad accettare il salvataggio della Troika. Il tasso di rendimento dei titoli di Stato a scadenza decennale, dunque, continuava a salire fino al picco dei primi mesi del 2012, con gravi conseguenze per le casse portoghesi, per poi tornare nel corso del 2013/2014 ai livelli pre-crisi.

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Rendimento dei titoli di Stato – Fonte: Trading Economics

Le riforme avviate da Passos Coelho, in carica dal giugno 2011, hanno dunque avuto il merito di stabilizzare la situazione finanziaria del Paese. Nei 4 anni di governo conservatore, la rigida applicazione del programma richiesto dalle Istituzioni creditizie ha portato a dei risultati non indifferenti come una riduzione del 5% del tasso di disoccupazione e un ridimensionamento del rapporto deficit/PIL entro la soglia del 3%. Le privatizzazioni per 10 miliardi di euro complessivi, assieme ai tagli a pensioni, stipendi statali e spesa pubblica in genere, non hanno comunque impedito al debito pubblico di crescere fino a superare il 130,2% del PIL. 

Negli anni precedenti alla crisi economica, il Portogallo esibiva livelli di crescita molto bassi, con un cronico calo della competitività, un rilevante crollo delle esportazioni legato a doppio filo con all’espansione di settori connessi alla produzione di beni non-tradable. Una delle principali sfide del Portogallo rimane quindi un rafforzamento delle esportazioni tale da garantire un riequilibrio della bilancia commerciale. La ripresa delle esportazioni avvenuta di recente deve necessariamente esser collegata ad una serie di riforme volte a potenziare la competitività del Pese intervenendo sui settori dell’energia e dei servizi della fiscalità, fino ad una riforma radicale del sistema giudiziario e del supporto del pubblico al privato nel settore della ricerca e sviluppo. 

Cruciale sarà evitare di porre in essere politiche che possano ledere o intaccare la competitività delle imprese esportatrici comprimendone la possibilità di conquistare rilevanti quote di mercato. Fiscalità agevolata e sostegno alla ricerca dovrebbero prioritariamente esser rivolte alle start-up. La crescita del PIL, seppur costante, rimane comunque debole per lasciar sperare in una rapida ripresa.

Anche il tasso di crescita del penultimo trimestre, che secondo le previsioni avrebbe dovuto attestarsi su un +0,2/0,3% è rimasto inchiodato allo 0%.  

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Tasso di crescita del PIL (valore %) – Fonte: Trading Economics

Il nuovo scenario politico portoghese – L’esperienza portoghese delle riforme è stata più volte accostata a quella della Grecia per descrivere la situazione finanziaria del Paese e per valutare gli effetti dell’austerità sull’economia reale, in una logica di contrapposizione tra Lisbona, l’allieva disciplinata, e la “disubbidiente” Atene. Sebbene Passos Coelho abbia perso la maggioranza assoluta dei seggi, egli rimane comunque alla guida del partito più votato dai portoghesi a riprova del fatto che se da un lato le riforme promosse dal Premier uscente non abbiano incontrato il pieno favore dell’elettorato lusitano, dall’altro non si è al tempo stesso avuta quella bocciatura netta che i governi a favore delle politiche di austerità hanno patito altrove. Anche l’astensionismo al 43% è un segnale della disaffezione e forse del fatalismo dell’elettorato portoghese. La debole crescita del PIL e la fiducia parzialmente riconfermata a Passos Coelho hanno portato il Ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble, in prima linea nei negoziati con Tsipras, ad elogiare le misure del rigore e dei tagli alla spesa pubblica portoghese, quale necessario prerequisito ad un risanamento delle finanze statali.

Resta pur vero che il neo Premier Costa, e in particolar modo i partiti di sinistra che lo sostengono in coalizione, sono stati tuttavia votati sulla base di programmi chiaramente in controtendenza rispetto a quelli del precedente governo conservatore. Ed è per tale ragione che l’ex Presidente Silva, prima di affidare l’incarico a Costa, ha preteso la firma di un documento che impegnava la costituenda coalizione a rispettare gli impegni con l’Unione Europea. Pur attuando i programmi per cui le formazioni di sinistra sono state votate – riduzione delle tasse, sblocco degli stipendi del settore pubblico, stop ai tagli delle pensioni, innalzamento del minimo salariale –, la nuova squadra di governo – tuttavia non priva di profonde differenze al proprio interno – dovrà dunque dar prova di riuscire ad equilibrare le proprie posizioni con quelle di una non trascurabile opposizione conservatrice. Se le reticenze di Silva nell’affidare l’incarico governativo a Costa erano state rafforzate dalla paventata possibilità di ritoccare in negativo il rating dei titoli di Stato lusitani, la netta affermazione del conservatore Baltasar “Marcelo” Rebelo de Sousa alle elezioni presidenziali dello scorso 24 gennaio, ai danni del candidato socialista Antonio Sampaio (53% dei voti contro il 22%), dà d’altra parte la dimensione del delicato periodo di coabitazione che il Portogallo si appresta a vivere con il rischio di un ritorno alle urne già nel prossimo autunno.

Giuseppe Consiglio è OPI Contributor

Photo credits: AP

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