Trattasi sostanzialmente di un action horror sviluppato come shooter in terza persona (telecamera di ¾ àla RE4), in cui lo spiccato coefficiente di splatter e gore viene bilanciato da humour nero e tamarraggine in salsa tex-mex, tanto che a tratti pare di assistere a una versione giocabile di qualche pellicola di Tarantino/Rodriguez (“From dusk till dawn”).
Già, perché il tatuatissimo protagonista, il demon hunter Garcia Hotspur, nella sua difficoltosa discesa agli inferi per riconquistare l’amata Paula rapita dal mostruoso Fleming (un adagio già sentito dai tempi di Orfeo e Dante, ma sempre affascinante e gustoso), non risparmia nulla, in termini di pallottole, parafernalia, look metallaro e coup de theatre.
A livello di gameplay siamo in pieno stile japan action, con un livello di immersività e potenzialità interattive forse limitato (Unreal Engine), rispetto ad altri titoli paragonabili, ma comunque godibilissimo, nella sua riuscita creazione di uno stile e di un mondo a se stanti (in cui il giocatore sperimenterà, fra l’altro, l’importanza decisiva della luce e delle tenebre), perfetta sintesi fra ritmi narrativi e azione pura.
Shadows of the Damned non è dunque un gioco innovativo, e nemmeno vuole esserlo (le dinamiche interattive implementate avranno ormai dieci anni), ma punta tutto sulla sua gustosa trama da bombastico B movie, omaggiando, a livello di giocabilità e di visual design, la tradizione nipponica del genere action (i già citati Resident Evil e Silent Hill, ma anche Devil May Cry).