Shame on you, Miike: la recensione di Shield of Straw (2013)

Creato il 19 dicembre 2013 da Silente
Giappone, 124 minutiRegia: Takashi MiikeSceneggiatura: Tamio Hayashi
Di tutti coloro che hanno storto il naso di fronte all’apertura di Miike degli ultimi tempi, credo non siano poi molti quelli che, nella scelta di un cinema più commerciale e con budget più consistenti, abbiano realmente visto il male, in fondo Miike non ha mai smentito se stesso e ha continuato a travestirsi, a mutare, a saltare da un genere all’altro conservando però, anche con una produzione big alle spalle, il suo estro stravagante e personalissimo. D’altronde, capolavori drammatici come 13assassini e Death of a Samurai sono in bella, folle compagnia con musical d’amore pregni di seventies (For Love’s Sake), coloratissime trasposizioni di videogiochi (Ace Attorney) e violentissimi slasher (Lessonof the Evil), non dimenticando tra l’altro piccoli excursus nel low budget (il non riuscito mix di commedia e gore Detective Story), e se è chiaro come certa anarchia dei bei tempi sia andata perduta, è forse meglio parlare di maturazione stilistica che lo ha portato non ad asservilirsi alle meccaniche del cinema mainstream (come era per certi versi già accaduto con il comunque valido The Call) ma, quasi paradossalmente, a piegare il cinema mainstream al suo tocco. È quindi strano e un poco demoralizzante vedere come questo Shield of Straw, action thriller che strizza ben più di un occhio all’occidente, non abbia davvero nulla del cinema di Miike, quel gusto caratteristico e inimitabile che s’intravedeva anche nelle opere meno valide ma non per questo meno interessanti.
A dirla tutta sembrerebbe non esserci nulla di sbagliato, l’intreccio presenta uno spunto piuttosto intrigante, e lo svolgimento, nella sua mitragliata d’azione, è ben sviluppato da macchinazioni e scene di massa di gran visività, ma ciò che più manca a Shield of Strawè allo stesso tempo una sceneggiatura forte e credibile che dia spessore alle vicende trattate, e ahimè una regia meno distaccata che non privi i protagonisti della loro forza emotiva, e questo perché, alla fine, delle sorti del giovane pedofilo e assassino Kiyomaru, così come delle vite del team che lo trascina di qua e di là per salvarlo dal linciaggio e farlo arrivare sano e salvo all’arresto e al successivo processo, non è che importi molto, e in una pellicola dove il lirismo drammatico fuoriesce tra lacrime e grida credo sia cosa piuttosto grave. Non servono quindi un tostissimo punto di partenza, con la milionaria ricompensa data dal nonno dell’ultima vittima a chiunque ucciderà Kiyomaru, né la potenza devastante di un’intera popolazione che si trasforma da un momento all’altro in killer disperati: tutto si risolve in pochi minuti di adrenalina (il dispiego degli autobus e l’assalto che ne consegue, le fasi iniziali della fuga in treno), ben diretta e virtualmente feroce ma fondamentalmente innocua come certo action popolano e recente vuole (zero sangue, morale a livelli preoccupanti, buonismo eccessivo e irritante).
Non resta nulla del senso d’orrore inscenato, Miike telefona sbrigativamente una sceneggiatura molto superficiale che non dà vero valore ai temi in gioco (il ruolo della giustizia e cosa significhi realmente), tralasciando riflessioni e accontentandosi di domande e risposte che non scavano mai in profondità, o meglio, non riescono a farlo dato che l’intento evidente è quello di limitarsi a compiacere tutti, sia chi cerca il film d’azione sia chi il dramma facile, e scontentando tutti gli altri, ovvero chi cerca, ancora prima di un film di Miike, semplicemente un buon film. Ma è davvero difficile salvare qualcosa in questo finto-drammone che si crede tipico melò asiatico ma che in realtà vuole essere il tipico action americano e fallisce miseramente, ed è un gran peccato, perché molte situazioni, prese singolarmente, hanno enorme fascino (ancora, l’idea che ogni persona possa di punto in bianco diventare un assassino spietato e tentare di uccidere Kiyomaru, oppure la stessa natura del giovane pedofilo, tra l’ingenuo strafottente e la violenza nichilista), alle quali solo una sceneggiatura più attenta avrebbe potuto dare giusto risalto. Ma, così com’è, Shield of Straw rimane un lungo, interminabile polpettone di sonnolente buone maniere e noiosi giusti valori. 

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