Share the Love

Creato il 03 luglio 2015 da Povna @povna

La colonna sonora fu servita dallo sceneggiatore alla ‘povna a una sera dopo cena a metà aprile circa. Niente di originale, peraltro (si parla pur sempre di cornetto Algida), eppure lei la giudicò sin dal principio molto adatta, fu pronta a postarla sul gruppo, e il giorno dopo se la portò a scuola.
“Che hai da sorridere così?” – le aveva chiesto Esagono.
“Ho trovato la colonna sonora, ora tutto è più facile” – aveva spiegato lei, tranquilla. E mentre il suo vicepreside scuoteva la testa, con l’aria di chi oramai ci ha fatto il callo, lei era salita alla casa sull’albero. Lì i suoi uomini del bosco le avevano confermato l’intuizione giusta perché, nelle dieci ore intercorse tra la condivisione e l’incontro, l’avevano già mandata a memoria con entusiasmo assai convinto. E così Buon viaggio, per tutti, era restata.
Insieme l’avevano cantata la mattina, salutandosi; insieme l’avevano ripetuta al suono della campana delle due; insieme se la erano portata su a Mauthausen, la ‘povna, Soldino e Piccolo Giovanni. Insieme l’avevano recitata ovunque, sempre, caparbiamente: anche quando erano tornati e si erano trovati di fronte funerali e incendi, anche quando gli Smarginati si smarginavano (almeno due a settimana, con bella simmetria, sempre diversi), anche tra le tante lacrime che sono corse in quest’anno nella paura di non farcela; e poi l’ultimo giorno, tutti in coro, nei commenti sul canale telematico: il loro inno, sempre, comunque, le parole totem e magiche che avrebbero portato bene.
Quello che non aveva detto subito, la ‘povna (ma poi spiegato e condiviso durante la cena di classe) era che di quella canzonetta – in fondo così pop, leggera, ovvia – a lei aveva colpito non solo o non tanto l’augurio più ovvio (che replicava l’hashtag, #godiamociilviaggio, che da settembre tutti quanti avevano condiviso, genitori inclusi, sempre), quanto soprattutto il sottotitolo, capace di riflettere così, semplicemente, la cifra qualitativa bella, che caratterizza da sempre i Merry Men. Perché di amore condiviso e gruppo, appunto, la loro storia tratta: con quella ovvietà risolta nei rapporti interpersonali che li rende così peculiari e unici (per chi, almeno, abbia voglia di avere occhi per guardare).
Share the Love, dunque. Perché per i Merry Men questa è massima di vita, prima di tutto, e sanno che le cose si fanno in un solo modo: tutti insieme. Ed è stato, anche, questo affetto condiviso, sorretto da un amore per la trama istintivo e, a questa età, rarissimo, la loro bussola costante, lungo tutto il percorso: perché gli uomini del bosco sapevano di voler amare il finale, e tanto, ma erano altrettanto consapevoli che, costruendo una bella storia, pezzo a pezzo, il lieto fine non avrebbe potuto che essere tale.
E’ con questo spirito, che va compreso, amato, e fatto proprio con tutto il pacchetto (perché i Merry Men sono questo, ma anche tutto il resto: il vociare continuo, la sbuccioneria, il situazionismo, l’acufene permanente – e questo resto pretende un’attenzione peculiare, e costa anche fatica, tanta), che questa classe così strana (insieme alla quale, il giorno della terza prova, si sono seduti tra i banchi i due bidelli e la segretaria, a farsi fare la foto insieme a loro; oppure per la quale la custode del vicino di corridoio Liceo Classico, Ornella, ha aspettato al varco la ‘povna e l’Ingegnera Tosta, per sincerarsi che “non ce li avrete mica bocciati prima dell’esame, i miei eroi, professoresse?”) ha affrontato le tre settimane che, dalla fine della scuola, hanno portato a oggi: giorno dopo giorno, la strada della maturità. Con lo spirito di gruppo abituale, affinato dalla circostanza; con la consapevolezza dell’importanza dell’appuntamento; con la voglia di far bene, ma anche la volontà di divertirsi; e con la certezza che ottenere un buon risultato, sì, ma il voto non è tutto; specie se non si raggiunge l’obiettivo tutti insieme.
Che è quello che si è celebrato, oggi, davanti ai tabelloni dei risultati – tra torte al limone e crostate di marmellata fornite dalla ‘povna e dall’Ingegnera Tosta – mentre a uno a uno tutti loro sciamavano a scuola, richiamati dalla parola d’ordine sul gruppo; e si trovavano al bar, ma poi ritornavano nei corridoi del loro istituto, ancora una volta, perché, “prof., dove vuole che festeggiamo, se non qui che è casa nostra?”. Tutti radiosi, sorridenti: a gioire dei successi di Soldino e di Piccolo Giovanni, così come della salvezza del Panda; senza malizia, retropensieri o stupidi confronti, mentre, a pochi metri da loro, l’altra classe, la grande A (che per volontà di Maestrina e Vanesio ha subito un trattamento assai migliore, nelle votazioni dell’orale, scientemente) già si sprecava in recriminazioni sui votucci: “e io settanta, tu settantuno, voglio parlare coi professori interni” (ma i Merry Men si allontanano perché “scusateci, ma questo modo di fare proprio non ci appartiene”).
Finisce così, dunque, la prima esperienza di maturità ‘povnica da membro interno; una maturità scandita in due tronconi, nettamente: lisci come l’olio gli scritti e amari come il ricino i colloqui, giorno per giorno (mai la ‘povna ha sentito in tutta la sua vita dire tante parolacce all’Ingegnera Tosta); una maturità per la quale, per una serie di intimidazioni, calunnie, e fatti personali ci sarebbero gli estremi di denuncia; una maturità nella quale i commissari esterni si sono dimostrati nel migliore dei casi (Y-Final) persone perbene, ma irrimediabilmente stitiche (e con una visione dell’esame di stato anni Cinquanta), e per i restanti due terzi meschini, ottusi, presuntuosi e ignoranti (ben convinti di sfogare le loro frustrazioni personali sugli alunni) e un presidente che, per quanto fine, quando si arrivava al dunque si rivelava totalmente inetto a comandare.
Sono stati, per Esagono, la ‘povna, e l’Ingegnera Tosta dei giorni pesantissimi, nei quali la loro volontà si è spesa – oltre che a cercare di portare in commissione una visione educativa altra – in realtà soprattutto a fare una cosa, e una soltanto: muro contro la cecità degli adulti irrisolti che lo sceneggiatore aveva consegnato loro in dotazione per il viaggio, perché fosse garantita ai Merry Men l’unica cosa che desideravano davvero con certezza, vale a dire una splendida fine della trama.
Ci sono riusciti, infine, al prezzo di parecchie incazzature, un po’ di gastrite e molte notti insonni: ma il sorriso dei Merry Men, mentre cantavano, belli che sono, ripaga poi di tutto. Perché la chiusa arriva, insieme a tante parole – tutte di amore, tutte che tradiscono quella loro conoscenza istintiva di chi negli ultimi quaranta giorni (come disse la ‘povna a Esagono) “ha compartito pure il moccio” – ed è solo tanto bella. Dall’inizio alla fine, così come doveva essere: share the love, share the love, share the love.