La musica, infatti, sembra entrarci poco: il padre severo e, ai nostri occhi, irrazionale, un ateismo ebraico vissuto come un fondamentalismo della ragione e della famiglia, un appiattimento sulla figura paterna e sulle sue scelte, nonché sul suo amore: tutto questo fa di Shine un film come un altro su un uomo che sembra non farcela ma che, nonostante tutto, per le misteriose vie della terra e del cielo e per doni fatali, arriva a emergere dalla propria condizione di difetto.
Ma dov'è il Rach 3? Quel magnifico concerto, quell'intersecarsi di melodie in lotta, quella necessità di padroneggiare il pianoforte e la musica purtroppo si riducono a colonna sonora di una storia, interessante e bella, di un uomo che a lungo soccombe agli interessi di scelte e sentimenti incomprensibili. Ciò che, però, mi sembra peggio è che quest'uomo resuscita, in un mix commerciale di amore e musica a dir poco imbarazzante, degno della satira velenosa di Tim Burton in Mars Attack. Se poi anche l'invito a scrutare le stelle (Ask the stars) smette di essere il pensoso e dolcissimo, ansioso e colmo di speranze, toccante chiedere al cielo, ma diventa lo scientismo di secondo o terzo livello dell'astrologia, si toccano i bassifondi di un'emotività per me intollerabile.
E mi spiace: mi spiace che il terzo concerto per pianoforte di Sergej Rachmaninov si sia visto affibbiare etichette ripetute a destra e a sinistra con la competenza di fini musicologi da persone che di musica ne sanno anche meno di me (e vi assicuro che ce ne vuole parecchio); mi dispiace che un regista dotato e non stupido si sia abbandonato a tale ruffianeria ben confezionata, mi spiace aver rivisto Shine di Scott Hicks dopo quindici anni e aver cancellato il ricordo di un'emozione e di un successo contro le mie resistenze e ogni mia personale debolezza.