Chi segue questo blog saprà che non pubblico mai estratti o anticipazioni di libri che non ho ancora letto. Si tratta di una forma di rispetto nei confronti dei lettori che capitano qui in cerca di un consiglio su cosa leggere, e di cui sento che tradirei la fiducia se consigliassi qualcosa che non ho personalmente testato. Non ho nulla contro chi pubblica anticipazioni e simili, è solo una cosa che di solito non mi sento di fare.In questo caso l'eccezione era dovuta. Charlotte Brontë è una delle mie autrici preferite, la miasorella tra le tre. Ho amato così tanto Jane Eyre e Villette che ricordo chiaramente, a distanza di anni, alcuni momenti della lettura. Jane Eyre l'ho finito su un treno per Brescia, in una calda giornata di sole; e ho chiuso Villette a Reggio Emilia, a casa di un'amica, sprofondata in una poltrona vecchia e troppo morbida. Avevo freddo, questo me lo ricordo, ma non riuscivo a staccarmi dalle pagine per andare a recuperare un plaid.Io adoro Charlotte Brontë, a livelli difficilmente esprimibili, e Shirley era l'unico romanzo che mi mancava della sua troppo breve bibliografia. Sapere che la Fazi stava per portarlo in Italia mi ha riempito di gioia e di sollievo. Perché sapevo che avrei gradito la copertina, e che non avrei avuto nulla da ridire sulla traduzione. Quando poi sono stata contattata dalla casa editrice per pubblicare un estratto dal primo capitolo in anteprima, diamine, sono stata più che lieta nell'accettare.Per la prima volta su questi lidi, vogliate gradire il primo capitolo di Shirley.Capitolo ILeviticoNegli ultimi anni, sul Nord dell’Inghilterra si è abbattuta una pioggia di pastori d’anime: più fitti sulle colline, dove ogni parrocchia ne ha uno o più di uno, tutti abbastanza giovani per essere molto attivi e recar gran giovamento. Ma non di quegli anni parleremo, né degli attuali… che in effetti sono caldi, riarsi, bruciati dal sole del meriggio. Torneremo indietro, ai primi anni del secolo e, eludendo il meriggio, dimenticandolo nella siesta, passando il cuore della giornata nel torpore, sogneremo l’alba.Se da questo preludio, lettore, pensi che ti si ammannisca qualcosa di romantico… ebbene, non ti sei sbagliato di più! Pregusti sentimentalismo, poesia, sogni a occhi aperti? Ti vai immaginando passione, emozione e melodramma? Calmati e riporta le tue speranze a un livello inferiore. Ti sta davanti qualcosa di assai concreto, di freddo e solido. E di così poco romantico come può esserlo un lunedì mattina per chi va a lavorare e si sveglia con la coscienza di dover uscir dal letto e per giunta anche di casa. Non si afferma qui, perentoriamente, che non avrai un assaggino eccitante, almeno verso la metà o la fine del pranzo… ma sia ben chiaro che il primo a venir in tavola sarà un piatto che un cattolico (sì, perfino un cattolico anglicano) potrebbe mangiare anche nella Settimana Santa, il Venerdì di Passione. Saranno lenticchie fredde, niente olio e solo aceto; saranno radici amare e pane azzimo e niente agnello arrosto.Negli ultimi anni, dicevo, un’abbondante pioggia di curatori d’anime (i “curati”) si è abbattuta sull’Inghilterra del Nord. Ma intorno al 1811-12 quella benefica pioggia non era ancora venuta: i curati erano scarsi, né esisteva ancora il Pastoral Aid o l’Additional Curates’ Society1che allungasse una mano in aiuto dei vecchi parroci sfiniti, offrendo loro di che pagarsi un giovane collega vigoroso, proveniente da Oxford o da Cambridge. Gli attuali successori degli apostoli, seguaci del dottor Pusey e strumenti della Propaganda Divina2, a quel tempo stavano ancora in cova, tra le copertine della culla, o sottoposti a rigenerazione battesimale nel bagnetto della stanza dei bambini. Al vederne uno, mai avresti immaginato che la doppia gala arricciata all’italiana della sua cuffietta in tulle circondasse la fronte di un successore di san Pietro, san Paolo e san Giovanni, già a tanto predestinato e specificatamente consacrato. Né mai avresti prefigurato nelle lunghe pieghe della sua camicia da notte la bianca cotta in cui egli avrebbe poi crudamente rampognato le anime dei suoi parrocchiani, sorprendendo – con quel suo bizzarro gesticolar di lassù, dal pulpito – perfino il vecchio vicario che mai aveva alzato le mani più in alto del comune leggio.Eppure, anche in quei giorni di penuria, i curati non mancavano: la pianta preziosa era rara, ma si trovava ancora. Un certo distretto dello Yorkshire aveva il privilegio di poter vantare ben tre “verghe d’Aronne”, fiorenti nel raggio di venti miglia. Ora li vedrai, amico. Entra con me in questa linda casuccia alla periferia di Whinbury e prosegui fino alla saletta del primo piano: eccoli là, a pranzo. Permetti che te li presenti: Mr Donne, curato di Whinbury; Mr Malone, curato di Briarfield; Mr Sweeting, curato di Nunnely. Gli ultimi due sono ospiti di Mr Donne che occupa alcune stanze in casa di un certo John Gale, un umile sarto. E Mr Donne ha gentilmente invitato a banchetto i suoi confratelli. Ci uniremo alla compagnia, vedremo quanto c’è da vedere, ascolteremo quanto c’è da ascoltare. Per il momento essi stanno mangiando, e noi ci faremo da parte, a parlar di loro. Questi signori sono nel fior degli anni, in possesso di tutto il vigore proprio di quella interessante età. Un vigore che i vecchi parroci attoniti ben vorrebbero incanalare verso i doveri pastorali, spesso esprimendo il desiderio di vederlo speso in accurate ispezioni scolastiche e frequenti visite agli ammalati delle rispettive parrocchie. Ma questi giovani leviti intuiscono che si tratta di compiti noiosi: preferiscono dissipare le loro energie in una serie di occupazioni che agli altri potrebbero apparire afflitte dalla noia e maledette dalla monotonia più di quanto non lo sia la fatica del povero tessitore al suo telaio, e che a quei tre invece elargiscono, a quanto pare, un’immancabile riserva di interesse e divertimento.Alludo a quel loro continuo correre avanti e indietro, dall’alloggio dell’uno verso quello dell’altro, e viceversa, per ritrovarsi sempre assieme. Non un giro, ma un triangolo di visite che essi mandano avanti per tutto l’anno, primavera, estate, autunno o inverno che sia. La stagione e le condizioni del tempo non hanno importanza: con incomprensibile zelo essi sfidano neve e grandine, pioggia e vento, fango e polverone, soltanto per pranzare, prendere il tè o cenare in compagnia. Che cosa li attragga è difficile dire! Non è amicizia, perché litigano ogni volta che si incontrano; non è la religione, perché l’argomento non viene mai sfiorato: di teologia di tanto in tanto discutono, di pietà cristiana no, mai; non è neppure il gusto di mangiare e bere, perché ognuno dei tre potrebbe avere a casa propria un trancio d’arrosto o uno sformato tale e quale gli viene servito alla tavola del collega, o un tè altrettanto robusto e crostini altrettanto gustosi. Le rispettive padrone di casa – le signore Gale, Hogg e Whipp – sostengono che è solo per «voglia di dar fastidio alla gente», e con “gente” alludono a loro stesse, perché quel sistema di invasioni reciproche non fa che tenerle «sulle spine».1 Due associazioni sorte in seno alla Chiesa d’Inghilterra per fare fronte alle esigenze sociali scaturite dalla Rivoluzione industriale. La prima, fondata dal vescovo Blomfield nel 1836, si proponeva di aiutare le parrocchie più povere; la seconda nacque, l’anno successivo, con finalità analoghe per iniziativa del commerciante di vini Joshua Watson.2Il paragrafo si riferisce all’Oxford Movement, attivo fra il 1833 e il 1845, così chiamato perché gravitava intorno all’Università di Oxford. Il movimento, nato nell’ambito della Chiesa d’Inghilterra, si proponeva di recuperare gli ideali religiosi del Seicento. Il dottor Pusey fu uno dei principali esponenti del movimento. Con l’andar del tempo si delineò, in seno alla corrente principale, la tendenza al ritorno al cattolicesimo romano. A tale spinta si riferisce Charlotte Brontë parlando della «Propaganda Divina».Charlotte Brontë (1816-1855) è una delle maggiori personalità della letteratura inglese dell’Ottocento. Sorella delle scrittrici Anne ed Emily Brontë, compì studi irregolari e si dedicò quindi all'insegnamento. I suoi romanzi, dal celebre Jane Eyre al più tardo Villette, ottennero un clamoroso successo che dura tuttora. Nel 2013 Fazi Editore ha ripubblicato con successo Villette.Il libro: Yorkshire, inizio Ottocento. Shirley, giovane donna ricca e caparbia, si trasferisce nel villaggio in cui ha ereditato un vasto terreno, una casa e la comproprietà di una fabbrica. Presto fa amicizia con Caroline, orfana e nullatenente, praticamente il suo opposto. Caroline è innamorata di Robert Moore, imprenditore sommerso dai debiti, notoriamente spietato con i dipendenti e determinato a ristabilire l’onore e la ricchezza della sua famiglia minati da anni di cattiva gestione. Pur invaghito a sua volta della dolce Caroline, Robert è conscio di non poter prenderla in moglie: la ragazza è povera, e lui non pu permettersi di sposarsi solo per amore. Così, mentre da una parte Caroline cerca di reprimere i suoi sentimenti per Robert – convinta che non sarà mai ricambiata –, dall’altra Shirley e il suo terreno allettano tutti gli scapoli della zona. Ma l’ereditiera prova attrazione per un insospettabile… Shirley si inserisce nel grande filone del romanzo sociale inglese di inizio Ottocento: i suoi personaggi vivono gli avvenimenti storici dell’epoca – le guerre napoleoniche e le lotte luddiste – facendo i conti con le contraddizioni del progresso industriale e offrendo spunti di riflessione sul lavoro, sul matrimonio e sulla condizione della donna. Dopo la riproposta di Villette, continuiamo la pubblicazione dell’opera di Charlotte Brontë con Shirley, capolavoro meno noto, ma ugualmente entusiasmante. Secondo romanzo dell’autrice dopo Jane Eyre, questo libro ha decretato il definitivo passaggio di Shirley da nome maschile a nome tipicamente femminile.
«Non so se hai mai letto libri in inglese. Se è così, allora posso raccomandarti calorosamente Shirley di Currer Bell, autore di un altro romanzo, Jane Eyre. È bello come i dipinti di Millais o Boughton o Herkomer. L’ho trovato a Princenhage e l’ho letto in tre giorni». Lettera di Vincent van Gogh al fratello Theo, 15 agosto 1881.
«Leggiamo Charlotte Brontë non per la squisita osservazione del personaggio, non per la commedia, non per una visione filosofica della vita, ma per la poesia. Probabilmente accade con tutti gli scrittori che, come lei, hanno una personalità travolgente… loro devono solo aprire la porta per farsi sentire. In loro c’è una ferocia indomita perennemente in guerra con l’ordine accettato delle cose».Virginia Woolf