A scatenare la polemica è stato soprattutto il fatto che lo show della Lopez sarebbe stato una sorta di omaggio al leader turkmeno voluto dal colosso petrolifero cinese China National Petroleum Corporation, interessato ad aggiudicarsi appetitose concessioni energetiche nel paese ex sovietico: una sorta di “regalo di rappresentanza” (per non usare il termine “tangente”), che avrebbe fruttato a J. Lo. un bell’assegno con svariati zeri.
“Se Jennifer avesse avuto conoscenza delle questioni riguardanti i diritti umani violati, non avrebbe certo partecipato all’evento”, si legge in un comunicato di scuse emesso precipitosamente dall’entourage della cantante quando la notizia ha iniziato a girare da un tweet all’altro. Ma la frittata era ormai fatta.
“Poteva informarsi prima, con una semplice ricerca su Google” ha commentato sarcastico da New York Thor Halvorssen, presidente della Human Rights Foundation (HRF), sottolineando come Jennifer Lopez non sia nuova a ben remunerate performance canore nell’ex Urss, e sempre in onore di politici e imprenditori di dubbia virtù. L’attivista ha ricordato come la showgirl si sia in passato esibita in Uzbekistan alla presenza del presidente ceceno Razman Kadyrov, da anni sulla blacklist delle organizzazioni umanitarie per le costanti violazioni dei diritti umani nella repubblica caucasica, come pure in uno show voluto dal presidente-autocrate Aliev in Azerbaijan, e persino nella Bielorussia di quel Lukashenko considerato l’ultimo dittatore d’Europa. Il tutto costentemente dietro compensi milionari.
Secondo la Human Right Foundation, questa particolare tournèe alla corte dei monarchi ex sovietici avrebbe infatti permesso alla bella Jennifer di guadagnare una cifra che si aggira intorno ai 10 milioni di dollari: niente male per una che ha raggiunto il successo cantando My love don’t cost (Il mio amore non costa). Peccato che la sua presenza scenica non sia così economica come i suoi sentimenti.