Queste serie, questi film d'animazione degli ultimi anni, sia che virino verso il classico 'cartone animato', come appunto Shrek, oppure verso il film 'tradizionale' (ricordando che le origini del cinema vedevano forme miste e, comunque, più vicine al primo che al secondo), sono testimoni del passare del tempo e meritano di essere catalogati, tra l'altro, come documenti storici. Di una storia speciale, quella tecnica, ma anche della capacità di raffigurare l'immaginario.
Dal primo all'ultimo Harry Potter, lo spettatore meno distratto apprezza il progresso tecnico e la forma più o meno adatta alla storia da raccontare. Quando il passaggio è alla terza dimensione, l'incontro col 'nuovo' è più immediato, tanto da ostacolare quasi l'importanza peculiare del progresso tecnico in quanto tale, la sua necessità cinematografica.
In Shrek 4, per esempio, il 3D aggiunge ben poco di pregnante e quel che aggiunge ha un che di eccessivamente vicino al videogioco: entusiasma, è bellissimo, ma ha un sapore qua e là fittizio. Tuttavia, guardando con brutale distacco al prima e al dopo, perfino uno come me non può non apprezzare la grandiosità, per certi aspetti commovente, dei risultati raggiunti.
Non svelo nulla, se dico che tutto va per il verso giusto e il vero amore trionfa sempre, come la formula fiabesca del sottotitolo promette. E mi viene un po' il dubbio di andare oltre e di dire troppo, se aggiungo che il problema non sta nell'evidente banalità della 'trama'.
Shrek ricompie, nel corso di una sola pellicola (come si dice oggi, con elegante anacronismo), il cammino esistenziale che l'ha visto, nel corso dei tre episodi iniziali, sposo di Fiona, genero devoto e infine papà: sposo, genero e padre in tutto e per tutto inseriti in un sistema che giustifica questi tre ruoli sociali. Questo cammino diventa qui normalizzazione.
Non mi è chiarissimo quanto pesi l'amore reale dell'orco per Fiona, invece che un generico tentativo di piegare alle convenzioni della quotidianità la natura umana e i suoi sentimenti, i suoi desideri. In questo intersecarsi tra il vissuto particolare e l'inevitabile rimando a un vissuto universale si cela il pericolo di qualunquismo e di banalizzazione tutt'altro che rari, ma riprovevoli e soffocanti nella scelta coniugale, annessi e connessi.
Eppure, in questo cammino, è meraviglioso vedere l'attaccamento esclusivo e sincero di Shrek per sua moglie; e ancora più confortante è vedere l'insistenza con cui Ciuchino interroga Shrek per sapere com'è nell'altra vita, il momento in cui il simpaticissimo amico dell'orco capisce (e comincia a credere al fatto) che, non domani, ma già adesso, un'altra vita è possibile, e chiede come vada, chi sia lui e chi sua moglie, cosa facciano i suoi figli, se siano teneri...
Ammesso che un bambino sia in grado di cogliere le implicazioni di un simile aut-aut - ma, insomma, mi pare che almeno questo lo possano intuire anche i più piccoli - la forbice tra mondo degli orchi (deforme, grottesco, triste) e mondo umano, sintetizzati dalla scelta, direi, paraumana di Shrek e Fiona implica (o direi che addirittura esplicita) il persistere di differenze di gruppo e non personali, autentiche, e l'interpretazione a senso unico di cosa vuol dire essere orco e cosa vuol dire essere umano.
Ciò non toglie, lo sottolineo, che la colonna sonora trascini senza scampo grandi e piccoli, che i sinceri sentimenti di Shrek e di Ciuchino, l'analisi dei caratteri, le loro interazioni e dinamiche affettive siano interessanti e piacevolissime, oltre a divertire e deliziare gli spettatori. Non so, però, se gli occhialini in 3D possano far emergere in sala anche la necessaria sincerità che sta dietro qualsiasi scelta personale, in questo pastiche di citazioni e giochi autoreferenziali.