Lo spettatore ricorderà che il terzo episodio di Shrek rappresentava una palinodia, trasformando l'orco puzzolente del primo film - satira delle fiabe tradizionali e della mielosità disneyana - nel solito “buono” in lotta coi soliti “cattivi”. Uno sviluppo inevitabile, forse, nella logica seriale, ma certamente un impoverimento. A rimettere le cose a posto, ora è arrivato il quarto “Shrek”, diretto da Mike Mitchell: “Shrek – E vissero felici e contenti” (“Shrek Forever After”). Non è che il quarto film rinneghi il cambiamento; però lo assume e lo elabora con estrema abilità, fondandolo su un'analisi psicologica – all'interno della deformazione comica – e su una costruzione narrativa forte.
Alla base del film c'è la crisi di Shrek di fronte alla quotidianità pantofolaia della sua vita familiare: la moglie, i tre bambini, i parenti e amici sempre in visita – con in più il rimpianto di quando faceva paura a tutti, mentre invece adesso è una celebrità locale. Una gag molto carina vede correre verso di lui la classica mob di contadini con torce e forconi dei film di mostri – per chiedergli l'autografo.
Chiunque (e massime un orco) amerebbe tornare ai giorni ruggenti della giovinezza. Così Shrek fa uno sciagurato patto magico con Tremotino (Rumpelstiltskin), cedendogli un giorno qualunque della sua vita in cambio di un giorno dei vecchi tempi, quand'era libero, solo e combinaguai. Però l'astuto Tremotino si prende il giorno della sua nascita: di conseguenza, Shrek si ritrova in un universo alternativo in cui lui non è mai nato, sua moglie Fiona non lo conosce, Tremotino si è impadronito del trono e tutto è triste e squallido nel reame. Pertanto Shrek ha un solo giorno di esistenza, nel quale dovrà sudare sangue per rimettere le cose a posto.
Il principio del “cosa sarebbe successo se non fossi mai nato” (ovvia reminiscenza del Frank Capra de “La vita è meravigliosa”) implica la ridefinizione di tutti i personaggi della saga. Il film la gestisce con logicità e umorismo – grande il Gatto con gli Stivali ingrassato e imbolsito – e ci presenta una “Resistenza degli orchi” contro il tiranno, nello stile di tanti eserciti ribelli del cinema fantastico e storico-avventuroso. Per questa via il film non solo ci apre uno squarcio sugli orchi come gruppo sociale ma recupera anche un po' dello humour corporeo e gaglioffo del primo episodio. I ribelli sono comandati da Fiona, il che regala un'angolatura inedita al suo personaggio prima un po' anodino.
Lo svolgimento è vivace e spiritoso, con gli orchi che - costretti a ballare dalla musica magica del Pifferaio di Hamelin - formano una coreografia da musical. Complice l'esigenza di accodarsi alla moda del 3D (ma il quarto “Shrek”, come “Toy Story 3”, funziona bene anche flat), il film ha una cura particolare del movimento; siccome il classico ruolo delle truppe al servizio del villain tocca a streghe in volo su una scopa, il movimento aereo ha modo di porsi al centro dell'azione. Ma il valore principale di “Shrek – E vissero felici e contenti” sta nella sceneggiatura (di Josh Klausner e Darren Lemke), col suo elemento di comedy sentimentale e verbale. Non solo divertenti gag – Pinocchio che dipinge di verde il povero Geppetto per fingere di aver catturato Shrek e guadagnarsi la taglia! - ma un autentico svolgimento umano (o meglio orchesco), sorretto da un'ottima resa delle espressioni.
Il terzo “Shrek” era grazioso, ma fondamentalmente inutile, e anche un po' disappointing per la perdita della carica eversiva del primo. L'intelligenza con cui il quarto episodio ha salvato capra e cavoli merita un elogio. Adesso che Shrek ha imparato la lezione e – alla Frank Capra, appunto – ha appreso ad apprezzare la vita affettiva che ha, probabilmente il personaggio si congeda dagli spettatori. O forse no? Mai sottovalutare l'inventiva della DreamWork.
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