Leggo il post de La 27ora (rubrica al femminile del sito del Corriere della Sera) “Sì alla mammografia. No alle macchine che strizzano il seno“, pubblicato in data 17 dicembre, e salto sulla sedia: l’articolo racconta l’esperienza dell’autrice, Sara Banti, riguardo a una mammografia eseguita come screening per il tumore al seno. Un’esperienza dolorosa come lo è per molte donne. Fin qui tutto bene, il punto che mi ha fatto saltare sulla sedia è stata la frase conclusiva:
“Me ne esco dolorante con due riflessioni. Prima: perché noi donne diamo per scontato che sia normale sottoporsi a un esame di routine così spiacevole e uguale a se stesso da almeno vent’anni? Seconda: possibile che nessuna designer abbia ancora pensato di dare forme più umane, morbide e gentili a questo ignobile apparecchio?”
Ecco, mi sarei aspettata qualcosa del tipo: “ok, è un esame doloroso ma molto importante quindi rassegnamoci e facciamolo”. Invece no, le riflessioni finali denotano solo quanto la donna che scrive sia assolutamente digiuna in materia di fisica delle radiazioni e formazione dell’immagine radiologica. Cosa che va benissimo, non siamo tutti fisici sanitari e non siamo tenuti a sapere tutto. Però dovremmo sapere che la sfera di cristallo non ce l’ha nessuno, e che se un esame medico si svolge in un certo modo c’è sicuramente un motivo. E dovremmo anche avere l’umiltà di non criticare ciò che non conosciamo e sul quale non ci siamo informati preventivamente. Perchè ormai Wikipedia è a disposizione di tutti e consultarla, prima di fare un qualunque esame medico, non costa nulla e forse ci può evitare la figuraccia di dire banalità, o peggio ancora scriverle.
Ma che cos’è una Mammografia? La Mammografia è una radiografia che si fa al seno per individuare la presenza di formazioni potenzialmente tumorali. Viene eseguita quando alla palpazione della mammella si avverte la presenza di un nodulo oppure ci sono altri segnali che richiedono un approfondimento diagnostico. E’ inoltre effettuata come test di screening per cercare di scoprire la malattia prima che si manifesti, in soggetti sani: nel nostro paese è consigliato e offerto gratuitamente a tutte le donne sopra i 50 anni ogni due anni che non siano nella classe a rischio (Leggi anche la pagina sul sito dell’AIRC).
E allora che cos’è una Radiografia? La Radiografia è un’immagine che si ottiene sfruttando l’interazione tra un fascio di fotoni (raggi X) diretti da una sorgente a un recettore, e la materia interposta, solitamente un corpo biologico. Gli atomi di tale corpo interagiscono con i fotoni che quindi raggiungono il recettore “distribuendosi” in modo da riprodurre la struttura interna del corpo che hanno attraversato, generando un’immagine. Originariamente il recettore era una pellicola fotografica, nel tempo le pellicole sono state (o stanno per essere) progressivamente sostituite da sistemi digitali. I raggi X sono radiazioni cosiddette “ionizzanti” in quanto sono in grado di produrre ionizzazione all’interno dei materiali che attraversano. Questa interazione, se da una parte ci permette appunto di ottenere immagini dei nostri tessuti interni utili ai fini diagnostici, dall’altra provoca dei danni nel DNA ai quali sono associati degli effetti biologici. Per questo motivo un esame radiologico deve essere sempre giustificato da un rapporto rischio/beneficio (ecco quindi perchè nelle donne giovani la mammografia come screening non è consigliata) e la dose di radiazioni impartita al paziente in un esame deve essere ottimizzata e limitata.
Ma perchè è un esame così fastidioso, se non doloroso? E’ davvero necessaria la compressione della mammella? La compressione permette di uniformare il tessuto del seno per aumentare la qualità dell’immagine, in quanto la riduzione dello spessore del tessuto che i raggi X deve penetrare fa diminuire la quantità di radiazione diffusa, responsabile della degradazione del risultato. Questo comporta inoltre la diminuzione della dose necessaria di radiazioni e degli artefatti da movimento. Dunque la compressione della mammella è necessaria sia ai fini della qualità dell’immagine, e quindi del risultato diagnostico, sia ai fini della radioprotezione del paziente. E no, non possiamo evitarla a meno che non cambino le leggi della fisica delle radiazioni, oppure non si scopra una tecnica diagnostica migliore di questa. L’ecografia mammaria ad esempio sfrutta l’interazione di ultrasuoni emessi da una sonda con i tessuti biologici, ma non è un’alternativa alla mammografia e i due esami sono complementari fra loro. Nelle donne più giovani, in cui il tessuto ghiandolare è più denso, i risultati dell’ecografia offrono maggiori informazioni rispetto alla mammografia, che non è comunque consigliata come screening per quella fascia di età. Dunque per rispondere alla seconda domanda dell’autrice dell’articolo, dubito che una designer per quanto attenta e rivoluzionaria possa rendere più confortevole l’esame, e possa modificare lo strumento per renderlo più gradevole, se non da un punto di vista puramente estetico.
E’ davvero un esame uguale a se stesso da 20 anni? Possibile che non sia stato possibile migliorarlo? Senza entrare nel merito dei singoli studi radiologici che possono avere strumentazioni di più vecchia o più nuova generazione, anche se all’apparenza l’esame può sembrare lo stesso, la tecnologia negli ultimi anni ha fatto indubbi progressi: si è passati dalla radiologia analogica a quella digitale, a un miglioramento della qualità delle immagini e contemporaneamente ad una diminuzione della dose di radiazione assorbita dal paziente. Un’immagine digitale può essere inoltre elaborata al computer, migliorandone il contrasto e la luminosità, e utilizzando tecniche di intelligenza artificiale che forniscono un supporto al radiologo nella fase di diagnosi. Tutto questo non appare probabilmente agli occhi del paziente al momento dell’esame, ma può fare la differenza fra salvare una vita umana oppure no.