Titolo: Kaze Tachinu
Regia: Hayao Miyazaki
Genere: Animazione
Anno: 2013
120 min.
Uscita italiana: 13 Settembre 2014
Di Federica De Felice.
Presentato alla 70esima Mostra del Cinema di Venezia insieme all’annuncio dell’imminente ritiro del grande Maestro del cinema d’animazione giapponese, Kaze Tachinu è il perfetto coronamento della favolosa carriera di Hayao Miyazaki. E altrettanto naturale e lampante è il legame che lega il fondatore dello Studio Ghibli al protagonista del suo ultimo lavoro.
Si alza il vento è ispirato infatti alla vita dell’ ingegnere aeronautico Jiro Horikoshi , il progettista dei caccia nipponici Zero, usati dai giapponesi nel ’41 nell’attacco di Pearl Harbor agli Stati Uniti; ma parliamo di Miyazaki, per cui non possiamo classificarlo come una semplice biografia animata.
E’ in sogno che il giovane Jiro riceve la sua investitura: protagonista degli incontri onirici, che più volte si ripeteranno dell’arco della sua vita, è l’ingegnere italiano Giovanni Caproni, pioniere dell’aviazione e idolo di Jiro. Caproni è l’incarnazione umana del sogno di Jiro (che sa che non potrà mai pilotare un aereo a causa della sua miopia), riuscire a costruire il più bell’aeroplano mai costruito.
Siamo dunque di fronte ad una riflessione sulla creatività generatrice di Bellezza. E, fuor di metafora, Miyazaki dichiara con il ricorso al parallelo con uno dei suoi idoli, che l’unico scopo della sua vita (e carriera) non è stato altro che quello di creare bei film. Una dichiarazione d’intenti dunque, una confessione e un testamento artistico a sugello di un’eredità fatta di capolavori quali Laputa, Il mio vicino Totoro, Porco Rosso, Principessa Mononoke, La Città Incantata, Il Castello Errante di Howl.
Una riflessione sul suo Paese, il Giappone, fa da sfondo alle vicissitudini di Jiro: siamo negli anni del primo dopoguerra, quelli del terremoto a Tokyo del ‘23, durante i quali il protagonista prende coscienza ed ammette, senza avvilimento o disperazione, quanto povero e tecnologicamente arretrato sia il suo Paese, e sente e manifesta con forza ancora maggiore l’urgenza di un suo contributo ad un possibile, non importa quanto lento ed impervio, progresso per gli anni a venire.
Se allora la prima parte è incentrata sul sogno di Jiro e la sua formazione di ingegnere, con alcune lungaggini e dialoghi dal contenuto fortemente tecnico, in cui si parla di motori, alettoni, rivetti, che possono forse lasciare un po’ indifferente lo spettatore, la seconda parte è tutta concentrata sulla storia d’amore con Naoko, conosciuta durante il terremoto e poi rincontrata anni dopo, malata di tubercolosi. E’ qui che viene fuori il lato più sentimentale del regista, nel racconto di un amore che ha già come premessa la tragedia.
Se il film si conclude con la realizzazione del sogno di Jiro, che finalmente, dopo anni di fallimenti ed insuccessi, riesce a far volare il suo primo aeroplano (il primo caccia Zero), resta aperta la questione sollevata all’inizio del film: a quale scopo riservare il progresso tecnologico (gli aerei erano all’epoca progettati solo per i bombardamenti contro i nemici, mentre il sogno che accomuna Jiro e il suo maestro, Caproni, sarebbe quello di costruire un aeroplano per il trasporto dei passeggeri). Tuttavia la vena di innato ottimismo e di fiducia nella bontà dell’umanità che caratterizza tutta la filmografia di Miyazaki non può non farci intuire una risposta positiva, e proiettare tutto il film verso un consolatorio e liberante lieto fine.
Qui il programma della 71esima Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, in corso in questi giorni.
★★★★