Si dicono “atei” ma è una contraddizione: l’inesistenza di Dio non è dimostrabile

Creato il 11 novembre 2011 da Uccronline

Il credente, oltre al fatto di limitarsi a “credere” l’esistenza di Dio, ritiene che possano esistere verità che vadano al di là della possibilità di essere dimostrate oggettivamente. L’ateo invece, nega la razionalità dell’atto di fede e afferma con decisione l’inesistenza di Dio. Questa è una delle più evidenti contraddizioni dell’ateismo, sottolineata da tantissimi pensatori nella storia. Thomas Huxley, il cosiddetto “mastino di Darwin”, coniò ad esempio il termine “agnosticismo” riconoscendo proprio che esso fosse molto meno contraddittorio.

Si è parlato di tutto questo in un interessante articolo apparso recentemente sul “The Washington Post”, intitolato: Ateismo: non c’è nulla di simile. L’articolista è partito dalla definizione di “ateo” che viene data dal dizionario: «chi nega l’esistenza di Dio». E su quali basi si può “negare l’esistenza di Dio”? Nessuna. Infatti, lo si ripete da secoli, la Sua esistenza o la Sua inesistenza non sono dimostrabili, dunque non si può negare o affermare che Dio esiste o no. Si può “credere” che Egli esista o si può “credere” che Egli non esista. In entrambi i casi siamo davanti ad un atto di fede, ma l’ateo -al contrario del “credente”- nega la razionalità dell’atto di fede e dunque non può che trovarsi in una posizione contraddittoria.

Messi alle strette tuttavia, gli atei si dimostrano “non particolarmente atei”. E’ accaduto durante il recente dibattito tra il filosofo cristiano William Lane Craig e il filosofo ateo Peter Slezak. Ad un certo punto, come si vede da questo video, il prof. Slezak afferma sotto pressione: “non possiamo sapere con certezza se Dio esiste o no”. Nonostante la sua ammissione, tuttavia, il filosofo australiano intende ancora definirsi “ateo”, cioè, qualcuno che sostiene che Dio non esiste. Richard Dawkins è ancora meno ateo di quanto in realtà voglia far credere: nell’“Illusione di Dio” (Mondadori 2007, pag. 60), afferma infatti che Dio è «improbabile» (perché è inevitabilmente complesso, dice lui) e «che non si possa dimostrare l’inesistenza di Dio è un fatto riconosciuto». Eppure quante volte ha sostenuto che il suo ateismo si basa sulla ragione, sulla logica, sulle prove e sulla scienza? Margherita Hack nel suo ultimo libro, “Il mio infinito” (Dalai Editore 2011), parte dal presupposto che tanto il credente quanto il non credente non possono dimostrare scientificamente l’esistenza o la non esistenza di Dio e quindi: «scienza e fede possono benissimo convivere». Tuttavia anch’essa continua a definirsi “atea”.

Tutto questo fa venire in mente i temibili paradossi di Blaise Pascal: «Preferirei sbagliarmi credendo in un Dio che non esiste, piuttosto che sbagliarmi non credendo a un Dio che esiste» perché «se non c’è nulla, dopo, ovviamente non lo saprò mai, sprofondando nell’annichilimento eterno; ma se c’è qualcosa, se c’è Qualcuno, dovrò rendere conto del mio rifiuto». E il card. Joseph Ratzinger, nel suo celeberrimo “Introduzione al cristianesimo”, sembrò completare la riflessione: «Chi pretende di sfuggire all’incertezza della fede dovrà fare i conti con l’incertezza dell’incredulità, la quale, dal canto suo, non potrà mai nemmeno dire con inoppugnabile certezza se la fede non sia realmente la verità. È proprio nel rifiuto che si rende visibile l’irrefutabilità della fede».      Per evitare contraddizioni, lasciate perdere l’ateismo, fatevi per lo meno agnostici!

Flavio Ottoni


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