Si fa presto a dire Vampiro... Racconto inedito - Newton Green di Jariel e Mara Marano

Creato il 16 aprile 2012 da Tuttosuilibri @irenepecikar

NEWTON GREEN
Scritto e ideato da 
Jariel  

Mara Marano

«Buongiorno Jack, come abbiamo dormito stanotte? Considerando che hai miagolato tutto il tempo, non saprei…» Hope ha l’aria stanca, non ha chiuso occhio. Quel piccolo batuffolo di pelo rossiccio, non le ha dato pace stanotte. «Dovevo chiamarti Wolf, visto che ti lagni sempre quando c’è la luna piena…». Jack emette delle fusa, a passo felpato si avvicina a Hope. Lei lo accoglie affettuosamente e lo coccola. «Chissà come ti chiami veramente?» Sorride: «Ti piace farti accarezzare, vero? Tutti uguali voi maschi! Ma che cos’hai qui alla bocca? È sangue! Cos’hai combinato, Eh?». Un trillo distoglie la sua attenzione. Chi potrà essere a quest’ora? Giuro che se è Fox dirò d’essere malata.  Con le pulsazioni a mille corre verso il telefono, augurandosi che non sia il suo capo. «Pronto? Ciao Fox, è da ieri che non ci si vede, come stai? Tu sai che oggi è il mio giorno di riposo, vero? No. Proprio no. Ho molte cose da fare oggi, ti prego…».
Fox ha un sorriso d’eccitazione: «Ho una fantastica notizia per te!». Lei sbadiglia: «Non potevi aspettare fino a domani?». «No! Ma ci pensi? Avremo l’esclusiva! God blessed! In trent’anni di lavoro non mi era mai successo, è incredibile! Sono senza parole…» «Well, sono contenta per te. Ho sonno, torno a dormire…» «Aspetta, dove vai? Tu devi partire immediatamente per Londra! Ti ho già preso i biglietti e prenotato una camera lì vicino.» Hope sgrana gli occhi: «Eh?» «Ascolta, al Newton Green, un cimitero sperduto e dimenticato da Dio, sono stati avvistati dei vampiri, e chi ha avuto per primo la notizia? Noi! Ci pensi?» «Questa poi! Credi a queste sciocchezze da rotocalchi per lavandaie? Io vado a casa.» «Aspetta, ammetto che stento a credere anch’io alla veridicità della cosa, però, che sia vera o falsa, farà notizia! Questa volta dovranno darci la prima pagina sul Daily Mail! Devi partire subito!» Hope ha un espressione contrariata, sbuffa: «Va bene.» Fox non sta più nella pelle dalla gioia, pigia un tasticino sul ricevitore: « Conie? Per favore, fai passare il giornalista che è arrivato stamani.» I due sorseggiano una tazzona di caffé. Discutono della stranezza del caso e sul comprensibile scetticismo di Hope quando, sopraggiunge il giornalista atteso preceduto da un energico toc toc alla porta d’ufficio. «Buongiorno Mr Fox », volge lo sguardo verso Hope: « Buongiorno, signorina...?» Hope esita a rispondere. Ha una reazione istintiva. Avverte una strana sensazione alla presenza di costui, quest’uomo non mi piace: «Ciao, io sono Hope.» Lui si affretta ad aggiungere: « Hope? È davvero un bel nome! Piacere, io sono Denzel White. Può chiamarmi Denzel, se le fa piacere.» Già non mi stai simpatico, vediamo di non aggravare la tua situazione: «Grazie, troppo gentile Mr White.» «Vedo che fate già amicizia, bene perché lavorerete assieme.» «Fine!», aggiunge Denzel. «Già, fine», rettifica Hope. «Ora, credo d’esser di troppo. Immagino che dobbiate ragguagliarvi su come procedere. Sono certo che Hope mi terrà al corrente di tutto. Frattanto, chiamo un taxi e attendo giù allo stabile. Buongiorno Mr Fox. Signorina Hope.» «Vedo che già vi piacete, sono contento.» «Davvero? Sei impazzito? Proprio no!» «A me piace, è un ragazzo cortese e sa fare bene il suo lavoro.» «A me, no! Ho un cattivo presentimento su di lui. Ma l’hai visto? “È davvero un bel nome”, bleah! E poi, ha uno sguardo così strano… l’hai visto? Chiedimi tutto, ma non di lavorare con lui, ti prego. Prometto, che non chiederò ferie fino al prossimo anno. So che siamo in Ottobre, ma che ne dici? Please?». «Io dico di no. Non è un invito il mio, è un ordine! Poi, credo che non avrai tempo per prenderti ferie. Sei la giornalista più in gamba che ho, e ti voglio sul campo. Mi dispiace. Io credo che tu sia troppo esigente, in fondo voleva solo essere gentile con la sua nuova collega». «E la sua pelle? Ha un colore così strambo …». Fox esplode: «Basta! Ho indagato su di lui, è inglese d’adozione, va bene? Lui è il miglior cronista che abbiamo nella filiale Ǿ di Londra ed è lui che si occupa di questo caso. Come vedi, non hai altra scelta».
Pochi minuti dopo i due giovani giornalisti sono in taxi, diretti all’appartamento di Hope. Siedono l’uno accanto all’altro sui sedili posteriori. Il silenzio è tombale. Hope decide di rompere la pace: «Faccio la valigia e prendo Jack, torno subito».“Torno subito”, perché devo dargli tante spiegazioni?, si ribadisce fra sé.
Circa mezz’ora dopo. Il tassì, con il bagagliaio colmo di valige, corre. Destinazione: aeroporto di Stansted. Ad aspettarli è il fiacco treno che ogni venti minuti si dirige verso Londra. Sfinito dal suo pendolare. Jack alla vista dell’uomo, sussulta. Inarca la schiena in segno di sfida. Miagola lamentosamente. Spaventato, si ritrae e si rifugia tra le braccia di Hope. «È strano, di solito non agisce mai così. Sorry.» Denzel china il capo. È turbato. Prende un fazzoletto dal taschino interno della giacca e si asciuga la fronte: « È tutto a posto.» I due giornalisti si scambiano occhiate furtive. Ansiosi e ignari di ciò che li attende.
Checché ne dica la camera dei Lord, il treno è lercio. Un leggero fetore proveniente dai sedili fa arricciare il naso a Hope. Denzel invece, non si scompone. Dall’alto della sua eleganza nel vestire e dei gesti, contempla Hope. È incuriosito dai suoi comportamenti bizzarri. Lei cerca di contenersi, ma non ne può più: « Oh my God! È pazzesco!» Lui non replica. Ha un’espressione divertita. Con grazia, si sistema il foulard di cashmere che avvolge il suo collo. Hope avvampa dall’imbarazzo. Al momento il suo volto si sposa bene con il kitsch color fucsia dei sedili. Niente di più sgradevole per la nostra articolista.
Sopravvissuti a un lungo e sudicio viaggio, sono giunti al Newton Green. È uno spettacolo per i loro occhi. Increduli, si voltano l’uno verso l’altro. Lo sconosciuto cimitero, oggi parco, è al centro dell’attenzione di molti per le voci che circolano da un po' di tempo. Attorno ai cancelli si è formata, come ogni giorno a questa parte, una calca di curiosi, accompagnata da qualche giornalista in cerca di storie interessanti.
A quella vista, Hope si ferma per un istante, stringendo a sé la gabbietta di Jack. «Perché c'è tutta questa gente?» chiede perplessa al suo spiacevole collega. «Ultimamente vi è la diceria che si aggirino presenze spettrali tra i sentieri del parco» spiega lui con un sorriso sottile, mentre Hope ha un attimo di cedimento nelle sue convinzioni. Le è difficile non dubitare del suo scetticismo di fronte a tante attenzioni, ma la sua ragione si impone nuovamente sulla suggestione. Senza badare a quel attimo di smarrimento, Denzel riprende a camminare, incurante del fatto che lei lo segua o no. «Avanti, affrettiamoci. Abbiamo appuntamento con il nostro contatto al Pep Corner, qui vicino.» «Il Pep Corner? Che bel nome.» replica Hope con un sorriso sarcastico disegnato sulle labbra. «È solo un misero fast food. Da un luogo del genere non mi aspetto un gran gusto nel scegliere il nome.» risponde con pacata ironia.
Arrivati alla bettola, i due giornalisti entrano solo per essere accolti da un forte sentore di fritto. Già lamentandosi per l'odore che rimarrà sui suoi vestiti, Hope copre come può la gabbia di Jack, tentando di risparmiargli un tale destino. Denzel, invece, non sembra soffrire di quel ambiente più di quanto non l'abbia fatto su quel treno lurido. Irritandosi silenziosamente, si abbandona solo ad una smorfia di fastidio quando, con la solita galanteria, la guida tra l'intrico di tavoli sporchi del locale fino a trovarne uno libero. All'arrivo della cameriera, una giovane con diversi piercing e dall'espressione seccata, i due cronisti fanno le loro ordinazioni. Nonostante l'indolenza di Hope per il locale, è lei a prendersi un sandwich, per quanto grasso e fritto possa essere. Denzel, invece, senza perdere il suo aplomb, ordina solo un drink analcolico.
Un uomo magro, emaciato, entra all'interno del locale guardandosi attorno con occhi nervosi e avidi. Cerca di darsi un contegno, sistemandosi la giacca di pelle e strofinandosi il naso in uno scatto. Alza lo sguardo infossato verso la sala e individua i due articolisti. Anche loro lo notano, e sembrano rendersi immediatamente conto che è il loro uomo. Un cenno veloce, e la figura slanciata si muove bruscamente verso il loro tavolo. «Allora...Siete voi, vero? Quelli del giornale?» chiede l'uomo umettandosi le labbra, torcendosi le mani mentre squadra per pochi istanti Hope e Denzel, concludendo con un secco rumore di aria inspirata dalle narici. «Si. Hai le prove che mi hai promesso?» chiede Denzel con fredda cautela. L'uomo lo fissa ostile solo per qualche attimo, prima di annuire e tirare fuori il proprio cellulare. «Per chi mi hai preso, White? Guarda qua.  Me la sono quasi fatta sotto quando l'ho visto.» replica lui armeggiando con il telefono e aprendo un file video. Hope, per quanto trovi inquietante l'uomo, non può fare a meno di sporgersi verso di lui per avere una visuale migliore. Sullo schermo piatto compare una ripresa tremante, ma nitida abbastanza da rendere le figure riconoscibili: il sentiero del parco, avvolto da una bassa nebbia densa e fitta, illuminata dai lampioni. Un uomo vi entra dentro, senza badare a ciò che gli sta attorno, rivolgendo verso la telecamera un'occhiata inquietante, le iridi che brillano di una luce innaturale contro l'incarnato pallido, segnato da un intrico bluastro di linee sinuose. Un debole lampione illumina la scena.  Poi, lì dove sarebbe dovuto uscire lungo il sentiero, il nulla, se non un muro più fitto e impenetrabile di umidità condensata. E con un lieve soffio di vento, il banco di nebbia si smuove e si disperde. Una coincidenza, o forse no, ma l'ultimo sprazzo di quel banco a scomparire ha vaghe fattezze umane, e l'ombra di un sorriso beffardo, mentre in sottofondo si sente solamente il respiro affannoso dell'uomo. Lo stesso che ora è innanzi a loro e li guarda con espressione speranzosa. I due colleghi rimangono ammutoliti. Oh God!, dice fra sé Hope. Per un attimo Denzel sembra perdere la sua abituale compostezza. «Allora? Era questo che volevate, no? Datemi quello che mi spetta!», conclude battendo i pugni sul malconcio tavolo. «Carter, per quanto questo video sia interessante dobbiamo avere qualcosa di più. Questa ripresa è sgranata e poco comprensibile.» replica Denzel freddamente, sminuendo la qualità del filmato. L'espressione di Hope tradisce la verità. «Non dirmi balle, White! Damn it! Avevamo un accordo! Questo video va benissimo, voglio i miei soldi adesso!» ribatte agitandosi Carter. Denzel freme lievemente di stizza. «Ti propongo un accordo. Posso darti quello che vuoi adesso e ognuno va per la sua strada, oppure posso darti il cinquanta per cento in più. Ma solo a condizione che ci porti sul posto questa sera..» propone Denzel. Hope fa per ribattere, ma Denzel la ferma con un cenno. Carter riflette sull'offerta, agitato, strofinandosi nuovamente le narici in un tic nervoso. «Stai scherzando, vero? Non ho intenzione di rivedere quel posto, White! Quel dannato coso non è umano!» «Facciamo il doppio?» cede infine Denzel, a malincuore. Ipocritamente a malincuore Carter accetta. «D'accordo. Lo faccio solo per te, White. Alle dieci dietro al parco, ho un amico che ci farà entrare senza troppi problemi. Ma sia chiaro, tardate anche solo di un minuto e l'accordo salta, venderò il video a qualcun altro!» detta prima di alzarsi e abbandonare il locale, senza attendere la loro risposta. Quando l'uomo si è allontanato, Hope mette da parte il sandwich mangiato a metà. Non ha più appetito. È furente e sconcertata.
In albergo la luce del sole lascia lentamente spazio alla notte. Hope, per buona norma, decide di lasciare la gabbietta di Jack in albergo, invece di portarlo con sé. Prepara lo zaino con gesti secchi e rabbiosi. «Ancora non riesco a crederci, Denzel! Incredible! Proprio tu che ti fidi di quel drogato solo sulla base di un video scadente? E non solo, gli proponi anche di portarci in un parco in piena notte! Fantastico, veramente! Altro che vampiro, saremo fortunati se non ci rapina!» È una discussione che hanno già intrapreso da quando hanno lasciato il Pep Corner. Denzel ascolta pazientemente le lamentele della sua collega, e solo quando la sfuriata di Hope è finita prende parola. «Hai tutte le ragioni a essere irritata, Hope, ma credimi: è una persona fidata. I know, all'apparenza non sembra raccomandabile, ma tutte le sue indiscrezioni si sono sempre rivelate vere. Quindi, se c'è qualcuno di cui posso fidarmi per una questione simile, è lui.» « Of course! Hai tentato di tirare sul prezzo, però. Anche questo fa parte della fiducia?» «Fa parte del gioco. È differente» risponde laconico, terminando i preparativi per l'uscita. Qualche minuto prima delle dieci, Hope e Denzel si trovano già al lato posteriore del recinto, in un vicolo poco trafficato. Carter arriva poco dopo, puntuale, assieme ad un altra persona. Il giovane di fianco al loro contatto è basso e tozzo, con vestiti trasandati e le occhiaie profonde di chi dorme poco. Una volta arrivati a pochi passi dai due, Carter e il suo amico dettano immediatamente altre condizioni. «Allora» inizia l'uomo basso e tarchiato, con fare minaccioso: «Visto che io ci lavoro, qua, voglio che sappiate che, se mi fate perdere il posto, ve ne farò pentire. Io vi faccio entrare, ma poi non ne voglio più sapere niente. E tu, Carter, ricorda che mi devi ancora quelle trenta sterline dell'ultima volta, oltre alla mia parte.» “Ve ne farò pentire!”. Ma chi si crede di essere?, emula Hope fra sé. Carter taglia corto con un rapido cenno d'assenso, intimando ai due di muoversi. Il percorso per entrare a Newton Green dall'ingresso secondario è tortuoso e ingombro di rifiuti. È buio, e sono costretti a farsi luce con delle torce. Una volta entrati, si fermano a respirare l'aria della notte e il silenzio del posto, le lapidi che spuntano come lugubri sassi a punteggiare l'erba. Hope si affianca a Denzel. Nonostante faccia finta di non essere colpita, più per non mostrarsi debole a White che per timore dell’inquietante scenario, non può fare a meno di rimanergli addossata, cercando una seppur minima parvenza di sicurezza. Carter li guida, in silenzio, verso il luogo dove ha fatto le riprese. Più si avvicinano al lampione che l'uomo ha inquadrato il giorno prima, più il parco attorno a quel esiguo cono di luce sembra farsi buio. Tetro. Hope prende la parola. «Va tutto bene? Sei teso?» chiede a Denzel mal celando la propria agitazione. Lui non risponde, trattenendo il fiato per evitare di perdersi qualche rumore. A quel atteggiamento indifferente, Hope si allontana, adirata dal trattamento riservatole. Cerca con ansia una qualsiasi cosa che possa infonderle sicurezza. Nell'oscurità riesce a intravedere un ramo, abbastanza robusto da fare al caso suo. Impugnandolo con entrambe le mani, segue Carter e Denzel verso la solitaria area illuminata del sentiero, circondata dalle ombre. All'improvviso, un tonfo soffocato. «Carter?» richiama in un sussurro allarmato Denzel. Hope è irrigidita, ferma sul posto. Si sforza di controllare il suo respiro, che esce tremulo e fievole dalle labbra, gli occhi sbarrati. «Carter!?» richiama nuovamente Denzel. Non c'è risposta. Rabbrividendo, la sua maschera di compostezza si sfalda. «Shit, Hope! Dobbiamo andarcene! O-» le parole dette nel panico si bloccano quando una mano si stringe attorno alla sua gola, lasciando spazio solo a suoni gutturali. Hope continua a stringere convulsamente la sua arma improvvisata, ma non riesce a distogliere lo sguardo da quei profondi occhi gialli mentre il sangue cola in fiotti scuri dalla gola del suo collega.
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Sono passati alcuni mesi. La folla che si riunisce davanti ai cancelli del Newton Green si fa sempre più grande, e la sparizione di Hope Benedict non ha fatto altro che aumentare le leggende che continuano a nascere sui misteri dell'ex-cimitero. Joanna osserva la folla, perplessa, mentre segue Andrew, quel collega con cui non avrebbe voluto avere niente a che fare. «Ma sul serio questa gente crede che Benedict sia ancora qui? Secondo me quella sciacquetta è solo scappata con quell'altro cronista, il suo collega.» commenta lei, acida. Andrew fa spallucce. «Finché la gente ci crede, avremo storie da raccontare. La cosa non mi turba.» «A proposito, come hai detto che si chiama il tuo contatto?» chiede lei, passando oltre alla folla e avvicinandosi al Pep Corner. Ha già un espressione di disgusto nel vedere l'esterno del locale. «Si chiama Chaz. È uno dei custodi del Newtoon Green, dice di avere qualcosa di interessante da mostrarci.» «Spero che ne valga la pena. Farmi tutto questo viaggio e affrontare questo schifo deve portare come minimo ad una prima pagina sul Daily Mail.» ribatte Joanna, seccata. All'interno della bettola, si siedono ad un tavolo, e la giovane li accoglie e porta le loro ordinazioni rivolgendogli un sorriso abbozzato. Quello di chi ha già visto qualcosa di simile. Mentre consumano le loro vivande, la figura esile di Chaz entra nel locale, scrutando la sala con gli occhi arrossati. Tergiversa, e arriva al tavolo solo dopo essersi fermato ad ordinare al banco. «Siete voi quelli che sto cercando?» chiede incerto il ragazzo. Non sembra essere pratico del gioco, ma la sua soffiata ha l'aria di essere autentica. Joanna coglie l'occasione al volo, lanciandosi sulla preda. «Si, siamo noi.» risponde suadente. «Tu ci hai portato quello di cui parlavi?» «Si...ma-ma voglio i soldi eh!» cerca goffamente di trattare, e Andrew annuisce. «Avrai quanto ti spetta. Ora avanti, cerchiamo di non attirare troppo l'attenzione. Se qualcun altro si accorge di questo incontro, l'accordo salta.» risponde mettendogli fretta. Chaz si impaurisce, e tira fuori una vecchia telecamera. I due giornalisti si allungano in avanti mentre Chaz fa partire il video sul piccolo schermo. Sullo schermo piatto compare una ripresa tremante, ma nitida abbastanza da rendere le figure riconoscibili: il sentiero del parco, avvolto da una bassa nebbia densa e fitta, illuminata dai lampioni. Una donna vi entra dentro, senza badare a ciò che le sta attorno. Rivolge verso la telecamera un'occhiata inquietante, le iridi che brillano di una luce innaturale contro l'incarnato pallido, segnato da un intrico bluastro di linee sinuose. Un debole lampione illumina la scena.  Poi, lì dove sarebbe dovuta uscire lungo il sentiero, il nulla, se non un muro più fitto e impenetrabile di umidità condensata. E con un lieve soffio di vento, il banco di nebbia si smuove e si disperde. Una coincidenza, o forse no, ma l'ultimo sprazzo di quel banco a scomparire ha vaghe fattezze umane, e l'ombra di un sorriso beffardo, mentre in sottofondo si sente solamente il respiro affannoso dell'uomo. Lo stesso che ora è innanzi a loro e li guarda con espressione speranzosa. Joanna sente il proprio battito perdere un colpo. Con gli occhi sbarrati chiede a Chaz di tornare indietro e fermarsi ad un punto preciso, dove la figura mostra il suo volto. Lentamente, la cronista volge gli occhi in direzione del vecchio manifesto che annuncia la scomparsa di Hope Benedict.
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