L’articolo (provocatorio?) è uscito su Libero Quotidiano ed è firmato da Camillo Langone, il quale cita uno studio della Harvard Kennedy School of Government, secondo il quale vi è rapporto tra la carriera di studio e lavoro delle donne e il fare bambini. Praticamente, a detta dei ricercatori di questa prestigioso istituto, le donne che fanno carriera, che studiano e che dunque aumentano il proprio bagaglio culturale e il proprio reddito, sarebbero meno propense a fare figli, a crearsi una famiglia e dunque a incrementare i livelli demografici. Ecco perché si spiegherebbe il motivo per il quale nell’occidente abbiamo poche nascite. Le donne studiano, trovano un lavoro, fanno carriera e dunque non stanno a casa a fare figli. Mentre le donne africane e mediorientali, prive di cultura e di ambizioni, svolgendo un ruolo esclusivamente domestico sono più “produttive”. I dati sarebbero evidenti: le nascite in occidente presentano un rapporto di 1,32 figli per donna, mentre nei paesi del terzo mondo si arriverebbe addirittura a 3-4 figli per donna.
Che dire? Se la statistica non è un’opinione, è difficile non ritenere che possa davvero esserci una connessione, ma è chiaro che seppure esiste, è una connessione sconnessa, ed è comunque legata a una logica del rapporto uomo-donna e del ruolo femminile nella società umana, assolutamente arcaico, maschilista e ormai del tutto fuori luogo. Non si può più accettare un ruolo della donna così ridotto e riduttivo. Il diritto alla felicità e il diritto alla realizzazione personale non può ammettere discriminazione sessuale fra uomini e donne. Per cui, per quanto possa trovare fondamento una simile ipotesi (del resto, le donne prima non avevano grandi scelte: o si sposavano e mettevano al mondo prole, oppure entravano in convento), non è accettabile che si pensi di trovare la soluzione al problema demografico nei paesi sviluppati attraverso un ritorno a un passato assolutamente improponibile e persino impossibile.
Certo, non è altrettanto accettabile l’idea di acquistare le nuove generazioni dai paesi in via di sviluppo. L’idea assurda dell’attribuzione della cittadinanza per ius soli dei figli dei migranti, per sopperire al calo demografico autoctono, appare altrettanto improponibile, seppure più fattibile della stramba idea di restituire la donna a un ruolo domestico – che seppure importante nelle dinamiche sociali – è comunque un ruolo che la donna stessa deve scegliere spontaneamente di svolgere, offrendole comunque le stesse e identiche opportunità offerte all’uomo: istruzione, cultura, carriera e dunque realizzazione personale. Altrimenti non saremmo diversi da certi paesi islamici e/o con leggi tribali, dove le donne effettivamente hanno un ruolo subordinato e vengono (man)tenute nell’ignoranza e senza alcuna possibilità di istruzione e opportunità lavorativa fuori dall’ambiente famigliare.
Da qui la consapevolezza che il problema demografico nell’occidente, seppure grave, deve essere risolto in modo differente. Sul punto, il discorso sarebbe davvero lungo e impegnativo. Però posso dire che il cuore della questione demografica occidentale è correlato alla scarsa sensibilità che le istituzioni politiche ed economiche mostrano nei confronti della famiglia quale mattone fondamentale della società umana. La famiglia in occidente è ormai vista come un ostacolo al mercato e al profitto. In altre parole, donne e uomini, in una società consumistica e veloce come la nostra, sono disincentivati a fare figli, perché sono costretti a scegliere tra la famiglia e la carriera, tra il lavoro e i figli. L’alto costo della vita e l’invito all’uso sempre più massiccio di prodotti superflui fanno il resto: impediscono una valutazione obiettiva e serena delle priorità nella vita, confondendo e sopprimendo persino gli istinti più naturali come l’esigenza riproduttiva.
A conti fatti, dunque, è la società moderna ostile alla famiglia. È la società moderna che mette i bastoni fra le ruote alle (giovani) coppie che fanno figli o che vorrebbero (ma non possono) farli. E certamente la politica non aiuta né gli uni né gli altri. Non sono sufficienti infatti norme “protezionistiche” della donna in gravidanza nel posto di lavoro per garantire o incentivare la filiazione. È necessario riscoprire la cultura della famiglia, è necessario che lo Stato attui politiche sociali ed economiche di sostegno alla famiglia, senza le quali la famiglia stessa, oggi, non può più reggersi. Il resto è pura retorica, a volte troppo retrò anche per un tradizionalista quale sono io.
Un’ultima cosa e chiudo. Voglio dare un avviso ai sinistri che leggeranno questo articolo. Non fate troppo i baldanzosi perché l’articolo fonte è scritto da un giornalista di Libero, aspramente criticato per la sua (non troppo chiara e spero provocatoria) adesione all’idea di un ritorno della donna a far figli piuttosto che a studiare. Vi ricordo che esiste una canzone di una nota icona progressista che cantava: “Voglio una donna donna donna donna, con la gonna gonna gonna… prendila tu quella che fa carriera…” Provate a immaginare chi è. Vi dico solo che lo conosce bene Giggino, sindaco di Napoli.
di Martino © 2011 Il Jester