"Ingovernabilità": fosse da
scegliere una parola per definire, raccontare, spiegare ai posteri,
il pesante periodo storico che stiamo vivendo, sarebbe da scegliere
questa. Ovunque, in ogni angolo, il mondo è ingovernabile: noi siamo
ingovernabili.
La tragedia di Lampedusa di pochi
giorni fa, un dramma senza fine, la cui gestione – al di là di una
legge, la nostra, sbagliata – risulta ogni giorno più complessa e
sfocata. Berlusconi, che s'è fatto paradigma dell'ingovernabilità,
peripeteia eschiliana, che ha spiazzato i suoi, trasaliti,
disorientati, come se le scelte – il governo – sul da fare
fossero "niente" (citando Taverna). La situazione siriana,
sfuggita di mano, ormai del tutto fuori controllo, con nessuno capace
– se non il tempo e il sangue, ahimé – di rimettere in
quadro le cose: persino l'unilateralismo americano ha scricchiolato.
Gli americani, appunto: talmente ingovernabili da arrivare allo
"shutdown", per la mancanza di una decisione anche
lontanamente condivisibile dai gruppi politici. Niente sembra più
regolabile – dissimulazione della governabilità – le opinioni
diffuse a frequenze altissime che diventano fatti e deviano pensieri,
tracimazione dei valori in altre vasche intorbidite, regole aggirate
come regola, norme sociali completamente alterate: assenza di
riferimenti, potere istantaneo.
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